È morto Fu Tieshan, “tragica” figura della Chiesa patriottica cinese
Roma (AsiaNews) - Quest’oggi, alle 19.50, ora di Pechino (le 13.50 di Roma), si è spenta la vita di mons. Michele Fu Tieshan, arcivescovo patriottico della capitale. Il decesso è avvenuto nel Beijing Hospital, la casa di cura per i politici importanti, dove era stato trasportato alcuni giorni fa in seguito a una crisi. Prima di morire ha ricevuto la visita del presidente Hu Jintao.
Mons. Fu da anni era ammalato di cancro ai polmoni. Secondo alcuni fedeli, si deve alle sue cariche politiche l’aver potuto vivere così a lungo, essendogli state profuse le cure più costose e più moderne. Si dice che il governo avesse stabilito un gruppo di giovani soldati dell’Esercito della Liberazione del Popolo come “serbatoio” per le trasfusioni di sangue di cui egli aveva bisogno.
Alcuni giorni fa aveva ricevuto l’unzione degli infermi e i sacerdoti di Pechino e le religiose hanno fatto la coda davanti alla sua stanza per un ultimo saluto. Secondo alcune voci che corrono fra i sacerdoti della capitale, al momento dell’unzione degli infermi, Fu Tieshan, impossibilitato a parlare, avrebbe versato alcune lacrime.
Fu Tieshan è stato definito la personalità “più tragica” della Chiesa cinese: malvisto ed evitato dai fedeli della sua diocesi per il suo schierarsi continuo contro il papa, il Vaticano e contro il popolo cinese (aveva perfino elogiato alla televisione di stato il massacro di Tiananmen nell’89); premiato, elogiato, promosso nella scala burocratica del governo e dell’Associazione Patriottica, fino a diventare vice-presidente dell’Assemblea nazionale del popolo e presidente dell’AP. I suoi fedeli lo hanno sempre criticato per la sua debolezza che lo ha portato alla sudditanza totale al Partito e all’operato di una donna, la signora Chen Maoju, sua sedicente segretaria che, approfittando della malattia del vescovo, ha dilapidato e incamerato per sé molti beni della Chiesa di Pechino.
Michele Fu Tieshan è nato nel dicembre del 1931, nel distretto di Qing Yuan (Hebei). Nel ’41 entra nel seminario minore di Xishiku a Pechino (chiesa di San Salvatore, Beitang). Dal 1950 al 1956 studia filosofia e teologia nel Seminario maggiore dell’Arcidiocesi di Pechino, nel Collegio Wen Sheng (dove oggi si trova la tomba del grande missionario p. Matteo Ricci, un edificio poi requisito dal governo per farne una Scuola del Partito).
Sotto il maoismo
Il maoismo e la Rivoluzione Culturale (1966-1976) gettano in prigione e ai lavori forzati la quasi totalità di vescovi e preti, anzitutto quelli che si rifiutano di entrare nell’AP e poi – durante la Rivoluzione Culturale – anche i patriottici. Di Fu Tieshan non si hanno notizie che abbia subito violenze e condanne.
La sua biografia ufficiale dice che nel lungo periodo sotto Mao Zedong, dal luglio 1956 al luglio 1979, con alti e bassi, Fu ha svolto la sua funzione di sacerdote nella parrocchia di Beitang (S. Salvatore) e alla Nantang (Immacolata Concezione). Dal ‘63 al ’66, studia e si laurea all’università Bandiera Rossa (Hong Qi), mentre deve anche lavorare per guadagnarsi da vivere.
Con l’avvento di Deng Xiaoping e la liberazione di molti sacerdoti e vescovi, la Chiesa sperava di poter finalmente essere libera dalle pastoie e dalle catene dell’AP. Invece, è proprio nell’ordinazione episcopale di Fu Tieshan che l’Associazione ricompare, insieme all’idea di una Chiesa indipendente da Roma. L’ordinazione episcopale di Fu avviene il 21 dicembre del ’79, per le mani di Mons. Yang Gaojian, vescovo di Changde (Hunan), famoso anti-papista. Gli altri due concelebranti sono mons. Zhang Jiashu, vescovo di Shanghai e mons. Wang Xueming, vescovo di Hohot (Mongolia Interna).
Dal ’79 in poi per Fu Tieshan è una lungo crescendo di cariche importanti, sia nella Chiesa che nella vita pubblica. Nel 1979 è membro della Commissione esecutiva dell’Assemblea nazionale del popolo; nel 2003 è vice-presidente dell’Assemblea, il parlamento-velina di Pechino. Nella Chiesa diviene vice-presidente e segretario generale del Consiglio dei vescovi cinesi (una specie di conferenza episcopale, non riconosciuta dalla Santa Sede); nel gennaio ’98 egli diviene presidente dell’Associazione patriottica, che ha nei suoi statuti il principio di costituire una Chiesa indipendente.
“Indipendenza” e sottomissione
Alla salita in carriera – in un intreccio di religione e politica, di religione comandata dalla politica – corrisponde una discesa umiliante e servile verso i fini del regime. Nell’89, a pochi giorni dal massacro di Tiananmen, è l’unico personaggio religioso a difendere alla televisione di stato la scelta di Deng di usare i carri armati per ripulire la piazza dai giovani studenti.
Nel ’99, in obbedienza a Jiang Zemin, si associa alla campagna internazionale contro il movimento di Falun Gong, condannando i seguaci del “culto malvagio”, che intanto a migliaia vengono arrestati, torturati, uccisi.
Nel 2000, a New York, partecipando al Millennium Summit con personalità religiose mondiali, condanna aspramente il Dalai Lama e accusa i Paesi che “col pretesto dei diritti umani” si intromettono nella “sovranità” di altre nazioni.
In obbedienza all’AP, il 1° ottobre del 2000 condanna il Vaticano per “aver osato” canonizzare 120 martiri cinesi e missionari stranieri, “strumenti del colonialismo”, definendo “intollerabile” la cerimonia in san Pietro presieduta da Giovanni Paolo II.
Già dal ’99 il governo stava in segreto cominciando a parlare di possibili rapporti diplomatici con il Vaticano. La campagna contro le canonizzazioni era invece voluta dall’AP per creare difficoltà a Pechino e alla Santa Sede. Per lo stesso motivo, il 6 gennaio del 2000, mentre il papa ordinava vescovi 12 candidati in san Pietro, a Pechino si è imbastita un’ordinazione illecita di vescovi. I candidati avrebbero dovuto essere 12 (come a Roma). Invece, 7 di loro, saputo che non vi era il permesso della Santa Sede, si sono rifiutati. Altri sono stati ingannati, isolati e tenuti all’oscuro del divieto del Vaticano. Alla cerimonia svolta nella cattedrale della Nantang, né fedeli, né seminaristi hanno voluto partecipare.
Mentre i fedeli disertano le funzioni dove appare lui, Fu diviene sempre più il simbolo della “Chiesa autonoma”, asservita agli interessi ideologici ed economici dell’AP.
Nel 2001, Giovanni Paolo II diffonde un toccante intervento sul 400mo anniversario dell’arrivo di Matteo Ricci a Pechino, indirizzato al popolo cinese e alle sue autorità. Il documento è scritto a cuore aperto e chiede “non privilegi”, ma “libertà” per la Chiesa di poter contribuire “al bene del grande popolo cinese”. Il papa giunge quasi fino a chiedere perdono se in passato ci sono state incomprensioni e segnali negativi. Fu Tieshan, insieme all’AP, liquida la lettera come “non sufficiente”.
Nel 2003, proprio lui, così succube e mescolato alla politica, critica apertamente il vescovo di Hong Kong, mons. Joseph Zen che sostenendo la richiesta di democrazia nel territorio non sa distinguere fra ciò che “si deve dare a Cesare e ciò che è di Dio”.
La Chiesa di Pechino unita al papa
Sempre nel 2003, sotto la sua presidenza, vengono varati i nuovi regolamenti sulle religioni e quelli dell’Associazione Patriottica, che con la scusa del principio “democratico” da utilizzare nelle decisioni della Chiesa, esautorano la funzione dei vescovi e rischiano di minare il valore dogmatico e sacramentale della Chiesa cinese.
Negli ultimi anni, la sua malattia lo ha via via allontanato dalla vita pubblica, lasciando la Chiesa di Pechino in mano all’AP e al laico Liu Bainian, vice-presidente dell’AP. Il punto è che mentre l’AP continua la sua politica di “indipendenza” dalla Santa Sede con documenti e ordinazioni illecite di vescovi, fra i sacerdoti di Pechino e fra i fedeli è ormai cresciuta una tenace fedeltà al papa e alla Santa Sede. La vitalità delle comunità di Pechino è dimostrata anche dal numero impressionante dei battesimi di adulti che avvengono ogni anno. Fra essi vi sono personalità della cultura, studenti, imprenditori. Intanto, anche nel governo cresce il desiderio di relazioni diplomatiche con il Vaticano, la stima verso l’operato sociale delle religioni e la voglia di mettere da parte un organismo tanto ingombrante e problematico come l’AP.
Forse la morte di Fu apre un capitolo nuovo nella scelta del nuovo pastore di Pechino, più attento ad una società armoniosa e più fedele alla Chiesa cattolica.
24/04/2007
19/11/2008
27/04/2007