Sirte, muoiono otto civili sotto i bombardamenti. Vicario apostolico: “Pregate per la Libia”
“Oggi – continua – vi sono stati oltre 50 aborti nell’ospedale di Tripoli, a causa dei traumi della guerra”. Secondo l’arcivescovo “una bomba non può distruggere un sito militare chirurgicamente, ma ha conseguenze imprevedibili, può colpire persone innocenti, abitazioni e ospedali. Se lo scopo è quello di difendere la vita civile la stanno invece distruggendo”.
Nonostante i combattimenti e le esplosioni, mons. Martinelli spiega che la Chiesa è molto presente e continua il suo lavoro, soprattutto fra i molti migranti cristiani rimasti in Libia per prestare il loro servizio negli ospedali e nelle opere sociali. “La gente – afferma - viene in chiesa, quelli che ci sono sentono il bisogno di rifornirsi spiritualmente, di stare insieme. Oggi oltre 200 persone hanno partecipato alla messa che celebriamo ogni venerdì, giorno di festa per i musulmani”.
Il prelato sottolinea che a tutt’oggi la Chiesa non soffre in modo diretto, vi è soprattutto tristezza per quanto sta accadendo. “Noi siamo al servizio del popolo libico – spiega - oltre alle religiose che lavorano nel campo sociale e ospedaliero, ci sono anche tante ragazze filippine cristiane che lavorano negli ospedali. Per loro è una sofferenza dover vivere e servire la popolazione in questa realtà difficile nei vari ospedali della Libia”. Secondo il prelato il ruolo della Chiesa in questa guerra è quello di dare testimonianza di un servizio di amore e carità, soprattutto verso i feriti e coloro che soffrono.
Sul piano degli aiuti umanitari, mons. Martinelli sottolinea che al momento la politica internazionale non permette interferenze. “La Libia è considerato un Paese ricco, tuttavia la Chiesa accetta offerte soprattutto per i migranti stranieri, che grazie ad aiuti indiretti sono riusciti a fare ritorno nei loro Paesi”.
Mons. Martinelli lancia un appello e invita tutti i cristiani e pregare per la Libia. “Solo la forza della preghiera può dare una scossa all’uomo nella sua volontà di perseguire nella guerra e nella violenza”. Riprendendo le parole pronunciate dal papa lo scorso 27 marzo all’Angelus, il prelato afferma che “la guerra deve terminare, o almeno deve esserci una tregua. Affinché le parti in causa possano incontrarsi per accordarsi per la fine delle ostilità, sensibilizzando soprattutto l’Unione africana”. (S.C.)