Sinodo Amazzonia: I nuovi cammini e le malattie pastorali (Seconda parte)
Troppo spesso di parla di “nuove vie”, ma si ripropongono “vecchi” schemi ideologici radicati nel ’68 e nel decennio ’70-’80. L’antropologismo culturale fa tacere l’annuncio di Gesù Cristo. L’esaltazione del servizio riduce la Chiesa a Ong senza mistero. Il secolarismo rende timida la testimonianza. È in atto una deforestazione spirituale, di cui ne approfittano le sette pentecostali. Alcune proposte pastorali.
Città del Vaticano (AsiaNews) – La pastorale della Chiesa latino-americana è “malata” di un Alzheimer pastorale. È la curiosa definizione che, in questa seconda parte del suo articolo, p. Martìn Lasarte, salesiano, dà dello stile di evangelizzazione che è in voga nel mondo amazzonico. Esso sfigura il messaggio cristiano, silenziando l’annuncio di Gesù per salvaguardare la purezza della cultura india; offre servizi – sanitari, sociali, politici, … - ma non calore e mistero; soffre di secolarismo, nascondendo la fede. P. Lasarte, scelto da papa Francesco come padre sinodale, suggerisce anche otto “nuovi cammini”, purché “realmente plasmati di nuovo fervore”. Per la prima parte vedi qui.
Il Sinodo che si sta celebrando a Roma ha come tema “Amazzonia: Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia Integrale”. È comune sentire l’espressione nuovi cammini per l’evangelizzazione come sinonimo per promuovere le ordinazioni di viri probati. Io sono del tutto d’accordo che dobbiamo cercare “nuove vie” per l’evangelizzazione. Ma forse non siamo d’accordo nel dire dove sta la novità.
Penso che in varie parti dell’America Latina, e in particolare dell’Amazzonia, uno dei problemi pastorali sia l’insistenza sui “vecchi percorsi”. Esiste un gran conservatorismo in diverse Chiese e strutture ecclesiali. Non mi riferisco solo ai tradizionalisti preconciliari, ma a linee pastorali, mentalità che si sono radicate nel ’68 e nel decennio ’70-’80.
Per alcuni, l’unica Assemblea continentale dei vescovi latinoamericani è stata Medellín, ignorando la ricchezza e la riflessione di Puebla, Santo Domingo, Aparecida, in particolare per quanto riguarda il problema del dialogo con la cultura, l’evangelizzazione, la missionarietà.
A mio parere vi sono tre tipi di Alzheimer pastorale che influiscono sulla sterilità evangelizzatrice dell’Amazzonia.
Antropologismo culturale
Nel 1971, un gruppo di 12 antropologi redasse la famosa Dichiarazione delle Barbados, la quale affermava che la Buona Novella di Gesù era una pessima notizia per le popolazioni indigene. Senza dubbio da questa provocazione si sviluppò in diverse parti un fecondo dialogo tra antropologi e missionari, che è servito a un reciproco arricchimento. Ma in altri luoghi si cadde in un’autocensura, perdendo la “gioia di evangelizzare” (Evangelii Gaudium 1-13). Ricordo casi di suore che decisero di non annunciare Gesù Cristo, né fare catechesi, “per rispetto della cultura indigena”. Si sarebbero limitate alla testimonianza e al servizio.
Dopo 20 anni, quando giunsero i gruppi evangelici nelle comunità indigene, chiesero al sacerdote della missione se non fosse il caso di parlare anche di Gesù. La risposta del prete fu: “Era tempo, sorelline, di dire qualcosa su Gesù”.
Talvolta l’insistenza sulla testimonianza è tale da pretendere che essa sostituisca l’annuncio. A questo proposito, Paolo VI, nel documento fondamentale sull’evangelizzazione Evangelii nuntiandi (22) ci dice: “Tuttavia ciò resta sempre insufficiente, perché anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata – ciò che Pietro chiamava ‘dare le ragioni della propria speranza’ –, esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. La Buona Novella, proclamata dalla testimonianza di vita, dovrà dunque essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita. Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati”.
Moralismo sociale
In più di un luogo ho sentito espressioni del genere da parte di operatori pastorali: “Quando la gente ha bisogno di servizi viene da noi (Chiesa cattolica), ma quando cercano un significato alla loro vita va da altri (evangelici ecc.)”. È evidente e costatabile che la Chiesa, volendo essere “una Chiesa samaritana”, ha dimenticato di essere una “Chiesa Maddalena”: è una Chiesa che fornisce servizi ma non annuncia la gioia della risurrezione del Signore.
L’impegno sociale della Chiesa, nell’evangelica opzione per i più poveri, è stata ed è un’enorme ricchezza, concretizzatasi in molteplici iniziative a favore della salute, l’educazione, la difesa dei diritti umani, la difesa delle terre indigene, l’organizzazione sociale delle comunità, le cooperative di produzione, la salvaguardia dell’ambiente…
Questo impegno per la dignità della persona, senza dubbio è stato e continua ad essere un aspetto costitutivo del processo di evangelizzazione, che esprime la dimensione diaconale della Chiesa. Un impegno del genere ha costituito una ricchezza non solo per la Chiesa latinoamericana, ma per la Chiesa universale.
Il problema sorge quando questo genere di attività assorbe il resto della vita e i dinamismi della Chiesa, lasciando in ombra, messe a tacere o date per scontate le altre dimensioni: kerigmatica, catechetica, liturgica, la koinonia. Siamo in una tensione irrisolta tra Marta e Maria.
Perfino la predicazione, a volte, in non pochi contesti, si è concentrata eccessivamente sulle questioni sociali riguardanti l’impegno, la trasformazione e la liberazione sociale; sulle problematiche dell’ingiustizia mondiale, sui peccati strutturali, ecc., elementi che fanno parte del messaggio di evangelizzazione, ma che sono stati trasmessi in modo tale che alla gente semplice dicevano o dicono poco o niente circa il brutto sogno avuto, la malattia del loro bambino, la loro particolare problematica familiare… Una predicazione fortemente segnata da “moralismo sociale” con tematiche e dinamiche a volte fortemente cariche di ideologia e di riduzionismi sociologici non è stata capace di toccare le fibre del cuore del popolo.
Grazie a Dio, se non è la programmazione pastorale intellettuale a pensare alla “spiritualità incarnata nella cultura dei semplici”, ci pensa la stessa Vergine a prendersi cura dei suoi figli e a toccare il cuore popolare, non a partire da grandi riflessioni, ma dalla semplice pietà popolare: ricca, semplice, diretta, piena di affetto, molto sentita dai “piccoli”. Basta ricordare la grande devozione amazzonica alla Vergine di Nazaret, quando in ottobre, a Belém de Pará, circa due milioni di pellegrini accompagnano la processione del “Cirio de Nazaret” (immagine della Vergine di Nazaret, v. foto - ndt).
Nella Chiesa latinoamericana, L’enorme emorragia di cattolici verso la costellazione delle Chiese evangeliche e neo-pentecostali, è dovuta senza dubbio a vari fattori, per cui non si può essere semplicisti, ma di certo la mancanza di una pastorale molto “più religiosa” e “meno sociologizzata” ha influito moltissimo su un’emigrazione verso le Chiese evangeliche e i nuovi movimenti religiosi, dove nella Parola, in un’accoglienza fraterna e calorosa, in una presenza costante, in un forte senso di appartenenza, trovano un “significato” e una compagnia per la loro vita.
A mio modo di vedere, questo è uno dei peccati teologici-pastorali di difficilissima conversione, in cui a fatica si riconoscono certi squilibri e le radicalizzazioni che hanno resa sterile la nostra pastorale, provocando una deforestazione spirituale. C’è una specie di impenetrabile atteggiamento difensivo in bunker ideologici. Si continua in maniera persistente sulla stessa linea.
Ho visitato una diocesi, dove all’inizio degli anni ’80, erano cattolici il 95% della popolazione; oggi sono il 20%. Ricordo il commento di uno dei missionari europei che hanno sistematicamente “dis-evangelizzato” la regione: «Non favoriamo la superstizione, ma la dignità umana». Penso che sia stato detto tutto.
La Chiesa in alcuni luoghi si è trasformata in un grande gestore di servizi (sanitari, educativi, promozionali, di advocacy…), ma poco in madre della fede.
Visitando una comunità della mia congregazione che opera tra gli indigeni, dopo aver lavorato per anni nell’educazione, nella legalizzazione delle terre, nella difesa dei fiumi contro le imprese minerarie, nella rivalutazione degli elementi culturali tradizionali, alcuni capi delle comunità indigene non permettono loro di entrare nel loro territorio, perché ora sono evangelici. Si sono fatte molte cose, ma sono mancati i processi per condividere la ricchezza e la bellezza della nostra fede cattolica, un ricco annuncio della Parola e la formazione di operatori pastorali.
Secolarismo
Un terzo Alzheimer è il secolarismo. Certamente è una sfida globale. A differenza dell’Europa occidentale, l’America Latina è più suscettibile agli influssi per la sua posizione geografica. Anche la cultura urbana secolarizzata esercita un influsso oltre i limiti della città: queste sfide sono in qualche modo normali a tutta la vita della Chiesa e a tutte le latitudini.
Ma il problema principale non sta nelle pressioni culturali dell’ambiente dominante, ma nel fatto che una Chiesa si secolarizza, quando i suoi operatori pastorali interiorizzano le dinamiche di una mentalità secolarizzata: l’assenza o una manifestazione molto timida della fede quasi chiedendo perdono.
Le conseguenze di queste opzioni o influenze pastorali, senza dubbio, si riflettono nella sterilità vocazionale o nella mancanza di perseveranza nel percorso intrapreso, per l’assenza di motivazioni profonde. Nessuno lascia tutto per essere un animatore sociale; nessuno consegna la propria vita a un’“opinione”; nessuno offre l’assoluto della sua vita a qualcosa di relativo, ma solo all’Assoluto di Dio. Quando questa dimensione teologica e religiosa non è evidente, chiara e viva nella missione, non ci saranno mai opzioni di radicalismo evangelico, che è un indice che l’evangelizzazione ha toccato l’anima di una comunità cristiana.
Una comunità cristiana che non genera vocazioni sacerdotali e religiose è una comunità affetta da qualche malattia spirituale. Possiamo ordinare i viri probati e altro, ma i problemi di fondo rimarranno: un’evangelizzazione senza Vangelo, un cristianesimo senza Cristo, una spiritualità senza lo Spirito Santo.
Logicamente, una visione orizzontale della cultura dominante, in cui Dio è assente, o ridotto ad alcuni concetti simbolici, culturali o morali, è impossibile che giunga ad apprezzare il fecondo valore spirituale e pastorale del celibato sacerdotale come dono prezioso di Dio e della totale e sublime disposizione di amore e di servizio alla Chiesa e all’umanità.
Le vocazioni sacerdotali autentiche ci saranno solo quando si stabilisce una relazione autentica, esigente, libera e personale con la persona di Cristo. Forse è molto semplicistico ma, a mio modo di vedere, il “nuovo cammino” per l’evangelizzazione dell’Amazzonia è la novità di Cristo.
Proposte per nuovi percorsi
Presento qui otto itinerari di crescita per nuovi cammini di evangelizzazione. In se stessi non hanno nulla di nuovo. Sono quelli di sempre, ma col desiderio che siano realmente plasmati di nuovo fervore.
1. Un’evangelizzazione integrale
È il primo e più importante. Così come parliamo di ecologia integrale, dobbiamo tenere presente l’evangelizzazione integrale. Dove in modo armonioso ed equilibrato siano presenti tutti gli aspetti pastorali della missione, dove tutto ha a che vedere con tutto: il kerigma (l’annuncio gioioso di Gesù Cristo), la catechesi (non come indottrinamento, ma come un paziente processo catecumenale che intreccia il vangelo con la vita e la cultura amazzonica); la diaconia (migliaia di servizi, quale espressione di una carità creativa e impegnata che nasce dalla fede); la koinonia (creazione di comunità fraterne attorno alla fede e alla Parola), la liturgia (una comunità che celebra con gioia la sua fede). Senza processi di evangelizzazione integrale, non solo non ci saranno vocazioni, ma non ci saranno cristiani, o almeno cattolici.
2. Un ricco catecumenato
L’esperienza in alcune parti del mondo e in Amazzonia ha dimostrato l’efficacia del catecumenato, come luogo di incarnazione della fede nella ricchezza del proprio patrimonio culturale. Altrimenti, se sacramentalizziamo soltanto e non evangelizziamo, la fede si trasforma in una vernice superficiale nella vita del credente, che non converte, non penetra, non trasforma l’esistenza. Un processo paziente, comunitario accompagnato dalla fede è un cammino di autentico rinnovamento. È un cammino lento, non rumoroso, ma fecondo e a lungo termine.
3. Una Chiesa creativamente ministeriale
Una Chiesa creativa nella promozione e nel protagonismo dei ministeri nelle comunità: ministeri radicati nell’impegno battesimale, per uomini, donne, giovani, per diverse circostanze e aree pastorali. Una comunità ricca e feconda di questi ministeri ordinati o laicali: diaconato permanente, lettori, annunciatori, ministri delle celebrazioni, narratori di storie, commentatori della Parola, esorcisti, ministri della speranza (funerali), catechisti, animatori giovanili, missionari/e, servi dei poveri ecc. Solo quando si vive questo dinamismo pastorale ed ecclesiale è possibile pensare ad ulteriori passi ministeriali, come lo studio di un’eventuale ordinazione sacerdotale di qualcuno dei suoi ministri.
4. Partecipazione politica organizzata
Avviene con l’impegno del laicato cattolico nelle politiche regionali e nazionali, in particolare per quanto riguarda i territori indigeni e la protezione dell’ambientale.
5. Piccole comunità cristiane
Tale proposta pastorale di gruppi o movimenti che, in un clima fraterno attorno alla Parola di Dio, offrono il calore e l’affetto della fraternità cristiana, che libera dall’anonimato delle periferie urbane e conserva, in molti, le dinamiche e le ricchezze delle comunità rurali di origine. Sono comunità di accompagnamento, di crescita nella fede alla luce della Parola e missionarie per la loro gioia di evangelizzare.
6. Una pastorale familiare
Questa deve saper che accompagnare, riunire formare nella fede, perché è dal grembo della famiglia che nascono i processi più efficaci di evangelizzazione.
7. Una pastorale giovanile
Essa deve essere ricca di proposte adattate ai diversi contesti (rurale, urbano, adolescenti, giovani, studenti, lavoratori, universitari, indigeni, afro, meticci, bianchi…), ma fortemente centrata nella vita del gruppo (associazionismo giovanile), nel volontariato e in itinerari graduali di formazione della fede. Si potrà avere una ricca pastorale vocazionale solo quando esiste una pastorale giovanile prospera e robusta.
8. Una decisa scommessa sulle vocazioni locali
Essa avviene credendo, confidando, accompagnando, formando, destinando ai giovani candidati le migliori risorse ecclesiali che si possiedono. Sono senza dubbio essi i più adatti a trovare i migliori cammini, quelli più autentici per dare alla Chiesa un volto amazzonico.
28/10/2019 10:43