Sentenza di Ayodhya: la Babri Masjid divisa tra islamici e indù
New Delhi (AsiaNews) – L’Alta Corte di Allahabad ha deciso oggi, a maggioranza, che la contesa area dove sorgeva la Moschea detta Babri Masjid, demolita il 6 dicembre 1992 dagli estremisti indù, sia divisa in 3 parti tra i litiganti islamici e indù. La decisione appare voler mitigare l’elevata tensione del Paese, ma rischia di innescare maggiori contrasti futuri.
Gli indù potranno mantenere un piccolo tempio prefabbricato costruito sul corpo centrale della moschea demolita, dove è stato trovato tempo fa un idolo di Ram. Un altro gruppo indù e un gruppo islamico avranno la gestione di altre due parti della moschea.
La sentenza era attesa tra grandi tensioni: oltre 200mila poliziotti sono schierati per sorvegliare possibili obiettivi di violenze. Il premier Manmohan Singh, come pure i leader dei maggiori partiti, avevano invitato tutti alla calma.
Yashwant Sinha, leader del partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party, ha commentato che “nessuno ha vinto, nessuno ha perso”, anche se ha insistito sulla necessità di costruire sul luogo un tempio in onore a Rama. In realtà esperti hanno sempre avuto forti dubbi sulla validità della rivendicazione indù, dato che la demolita Babri Masjid esiste dal 1528 senza contestazioni. Fu costruita dall’imperatore Babri dei Mughal. Solo da circa 60 anni gruppi estremisti indù hanno sostenuto che la moschea sarebbe a sua volta sorta sulle rovine di un preesistente tempio indù. Per questo la Corte ha anche incaricato archeologi di ricerche approfondite sul luogo, ma circa 5 mesi di scavi da marzo ad agosto 2003 non hanno portato a nuove scoperte.
La rivendicazione indù è stata spesso ritenuta avere finalità soltanto politiche e vessatorie verso la minoranza islamica della zona. Dopo la demolizione della moschea, esplose un periodo di disordini che causò oltre 2mila morti islamici.
Molto misurati i commenti dei leader islamici, sebbene soccombenti, al fine di evitare tensioni e possibili disordini.
Esperti commentano che il tribunale ha forse cercato un compromesso, per evitare future tensioni. Ma altri osservano che il contrasto è già acceso e la forzata “coabitazione” potrebbe innescare maggiori violenze future. (N.C.)