Segretezza, punteggi e punizioni: la vita nei lager dello Xinjiang
I “China Cables”, documenti segreti del Partito comunista emersi grazie all'impegno dell'International Consortium of Investigative Journalists, descrivono nel dettaglio come funzionano i campi di detenzione dove sono rinchiusi 1,8 milioni di musulmani cinesi. L'accento sull'istruzione dei più giovani, che devono essere isolati dal mondo e ri-educati. Le richieste, negate, della comunità internazionale di poter visitare queste zone che per Pechino sono “istituti di formazione”.
Pechino (AsiaNews) – Prevenire fughe dai campi, mantenere la segretezza su quanto avviene, creare un sistema di punteggi per i detenuti. Sono soltanto alcune delle linee-guida che il governo cinese impone ai propri funzionari impiegati nei campi di detenzione destinati agli uiguri. Lo rivelano nuovi documenti segreti appena ottenuti grazie all'impegno dell'International Consortium of Investigative Journalists (Icij), gruppo composto da 17 media partner in 14 nazioni.
Dal punto di vista ufficiale, per Pechino questi campi non esistono: si tratterebbe infatti di “istituti di formazione” creati per “avviare al lavoro” i membri dell'etnia.
Gli uiguri, etnia turcofona che abita lo Xinjiang, chiedono da decenni maggiore autonomia politica ed economica, ma Pechino li accusa di separatismo e di terrorismo, giustificando un’aspra politica di controllo militare. Nell'estate 2019 è emerso uno studio della Bbc che rivela che centinaia di bambini sono stati separati dai propri genitori nel tentativo di rimuovere le loro radici etnico-religiose.
Il documento scoperto dall'Icij – inserito in un complesso più ampio nominato “China Cables” - è stato redatto nel 2017 ed è firmato dall'allora vice segretario del Partito comunista della provincia, Zhu Hailun, anche capo della sicurezza. Nel testo si spiega come – per combattere il terrorismo – si debbano migliorare “l'istruzione e l'avviamento al lavoro” attraverso “campi di addestramento”.
Secondo alcune fonti, le autorità avrebbero rinchiuso in questi campi circa 1,8 milioni di persone, fra uiguri e membri di altre minoranze di religione islamica, con l'accusa di portare avanti “una visione religiosa troppo forte” e “politicamente scorretta”. Secondo Randall Schriver, capo dell'Ufficio asiatico al Dipartimento di Difesa americano, il numero reale “si avvicina ai 3 milioni”.
Il testo spiega inoltre alle autorità locali come implementare misure di sicurezza che prevedono istruzioni per “gestire in maniera più stretta e controllare le attività degli studenti. Questo include comportamento in classe, alimentazione, tempo trascorso nel bagno, visite ai familiari”. Chiunque lasci la scuola “deve avere un accompagnatore”.
Ai funzionari impiegati nei campi si impone invece di “valutare e risolvere i problemi ideologici degli studenti e le emozioni anormali”. Per farlo, viene incoraggiato l'isolamento completo dei detenuti dal mondo esterno e un monitoraggio continuo. I campi devono tenere in piedi inoltre un sistema di punteggi, da collegare a punizioni e premi. Fra i premi vi sono anche le visite dei familiari.
A più riprese l’Onu ha chiesto di poter visitare lo Xinjiang per verificare gli abusi contro gli uiguri. La Cina è accusata di aver rinchiuso contro la loro volontà almeno un milione di loro, sottoposti a lavaggio del cervello per indebolire il loro attaccamento alla fede islamica, considerata una “radicalizzazione”. Contro le testimonianze di molti sopravvissuti, Pechino ha sempre sostenuto che i campi sono soltanto dei “centri di formazione professionale”.
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