Sacerdote tunisino: ‘La violenza non fa parte di noi, l’omicidio politico danneggia tutto il Paese’
Tunisi (AsiaNews) - "I tunisini sono un popolo di ponti, aperture e turismo, il ricorso alla violenza non ci appartiene". Lo dice ad AsiaNews p. Jawad Alamat, responsabile locale delle Pontificie opere missionarie, un giorno dopo l'assassinio di Mohammed Brahmi. E aggiunge: "Episodi come questo sono il sintomo di stanchezza e incertezza diffuse; il popolo intero, sia di destra che di sinistra, ha bisogno di stabilità".
Giovedì 25 luglio, il coordinatore del Movimento popolare, Mohammed Brahmi, è stato assassinato con 11 colpi di arma da fuoco di fronte alla sua residenza di Sidi Bouzid. La cittadina è nota come la "culla della Primavera araba" perché è qui che, nel 2011, il venditore ambulante Mohammed Bouazizi si diede fuoco per protesta contro il governo di fronte al municipio. Voce laica dell'opposizione di sinistra, Mohammed Brahmi ha sempre tentato di contrastare l'ascesa dell'islam politico dalla caduta di Ben Ali nel 2011: il 7 luglio scorso ha presentato le dimissioni dalla carica di segretario Generale del proprio movimento lamentando un'infiltrazione di natura islamista. Si tratta del secondo omicidio politico in Tunisia dall'inizio del 2013: il 6 febbraio scorso, era stato assassinato in dinamiche analoghe Chokri Belaid, principale esponente dell'opposizione di sinistra. Secondo p. Alamat "questi attentati danneggiano tutti i tunisini perché prendono di mira le voci libere".
L'omicidio è avvenuto nel giorno del 56mo anniversario della Repubblica tunisina e, come nelle ore successive all'uccisione di Belaid, violente proteste sono esplose a Tunisi e Sidi Bouzid. "La Tunisia è libera, via i Fratelli!" urlano i dimostranti riferendosi ad Ennahda, partito al governo e costola tunisina della Fratellanza musulmana. "Questo è un complotto ai danni del Paese - dichiara un altro manifestante di nome Fethi Mouelhi - il governo è responsabile per non aver vigilato abbastanza". Anche la famiglia di Brahmi ha accusato il governo di essere dietro all'omicidio.
P. Alamat, spiega che "le prime proteste hanno puntato il dito contro il governo, ma che sforzi effettivi sono stati fatti in termini di sicurezza. Ora la Tunisia è il Paese più tranquillo tra quelli che hanno vissuto l'esperienza della Primavera araba". E aggiunge che "tuttavia, bisogna diffidare dalle generalizzazioni e non si può paragonare l'esperienza tunisina a quella libica, siriana o egiziana. Le rivoluzioni si sono declinate in modi differenti a seconda degli Stati che le hanno vissute; il caso egiziano non è paragonabile a quello tunisino, ma deve servire da monito ed esempio. L'Egitto detta una linea non solo politica, ma anche religiosa in tutto il mondo islamico".