Peshawar, attacco in moschea durante una preghiera per la pace: 11 morti e oltre 65 feriti
Peshawar (AsiaNews) - È salito a 11 morti e oltre 65 feriti il bilancio dell'esplosione che ha colpito un centro di preghiera nel cuore di Peshawar, città nel nord del Pakistan, già teatro nel settembre scorso di un sanguinoso attacco contro una chiesa protestante. L'attentato è avvenuto nella serata di ieri e aveva come obiettivo i partecipanti alla processione di Shab-e-Juma, promossa proprio con lo scopo di favorire la pace e l'armonia interreligiosa fra le diverse anime del Paese. Il luogo di culto è usato dalla comunità sciita, oltre che dal movimento Deobandi e altri gruppi minori.
Fonti della polizia riferiscono che l'esplosione è stata innescata da un congegno a distanza e che l'ordigno conteneva almeno 5 kg di esplosivo. Immediato l'intervento delle squadre di emergenza, che hanno trasferito i feriti negli ospedali della zona per cure mediche.
Tuttavia, il bilancio dell'attentato poteva essere ancor più grave: gli inquirenti hanno infatti rinvenuto altri due ordigni, collegati a un telefono cellulare, al secondo piano del centro di preghiera islamico. Una squadra di artificieri ha disinnescato le bombe, scongiurando altre vittime. Ordigni rudimentali della stessa fattura sono stati ritrovati anche in un centro di preghiera della città di Nowshera, anch'essa situata nella provincia settentrionale di Khyber Pakhtunkhwa.
Secondo alcune fonti, i talebani avrebbero ammesso le proprie responsabilità nell'attentato; tuttavia, il Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP) condanna l'attacco e il suo portavoce Shahidullah Shahid nega ogni coinvolgimento, pur rivendicando altri tre attentati che hanno riguardato caserme di polizia a Malakand, Shangla e Mansehra.
Il Primo Ministro Nawaz Sharif e i principali leader politici del Pakistan hanno espresso cordoglio per le vittime e invitano i leader religiosi a promuovere la tolleranza. "Si è trattato di un terribile incidente" sottolinea Maulana Tahir Ashrafi, presidente del Consiglio degli Ulema, che ha colpito "i nostri fratelli sciiti, ammazzati in modo brutale mentre lo Stato resta inerte". Egli ricorda il tentativo di dialogo fra governo e talebani, sottolineando però la mancanza di "serietà" nel perseguire il proposito. E conclude chiedendosi come si possa promuovere la pace, in una nazione in cui "i propri leader non sono al sicuro" e "le minoranze soffrono" sempre più.
Babar Ghor, portavoce del Motahida Qaumi Movement (Mqm), spiega che "non è possibile intavolare colloqui con chi uccide Chaudhry Aslam e tenta in ogni modo di cospirare contro il Pakistan e la pace". Interpellato da AsiaNews p. Anwar Patras, parroco a Nowshera, condanna l'attacco e rivolge le più sentite condoglianze alle vittime a nome della comunità cristiana. "È un tentativo di inasprire la violenza confessionale - afferma il sacerdote - e dobbiamo per questo lavorare con maggiore impegno per la pace e l'armonia fra religioni". Siamo con quanti soffrono, aggiunge, e "preghiamo per loro. Basta bagni di sangue".
Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). Le violenze contro le minoranze etniche o religiose si verificano in tutto il territorio nazionale, ma negli ultimi anni si è registrata una vera e propria escalation e che ha investito soprattutto i musulmani sciiti e i cristiani.