19/09/2017, 10.53
VATICANO
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Papa: il cristiano deve “avvicinare” chi soffre per restituirgli la sua dignità

Sull’esempio di Gesù bisogna compatire, cioè patire insieme con i bisognosi, non aiutarli “da lontano”, perché c’è chi è sporco, “non fa la doccia”, “puzza”. Con la “preghiera di intercessione”, con il nostro “lavoro” di cristiani, dobbiamo essere capaci di aiutare la gente che soffre, affinché “venga restituita alla società”, alla “vita di famiglia”, di lavoro; insomma: alla “vita quotidiana”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Compatire, cioè patire insieme, avvicinarsi, restituire le persone alla loro dignità: è l’atteggiamento che il cristiano dovrebbe avere di fronte a chi soffre, è nel bisogno. L’ha detto papa Francesco durante la messa celebrata stamattina a Casa santa Marta commentando il racconto dell’odierno Vangelo di Luca, dedicato al racconto della risurrezione del figlio della vedova di Nain per opera di Gesù.

 “La compassione è un sentimento che coinvolge, è un sentimento del cuore, delle viscere, coinvolge tutto. Non è lo stesso della “pena”, o di … “peccato, povera gente!”: no, non è lo stesso. La compassione coinvolge. E’ “patire con”. Questo è la compassione. Ricordato che nell’Antico Testamento i “più poveri degli schiavi” fossero proprio le vedove, gli orfani, gli stranieri, i forestieri, Francesco ha aggiunto: “Il Signore si coinvolge con una vedova e con un orfano … Ma dì, tu hai tutta una folla qui, perché non parli alla folla? Lascia … la vita è così … sono tragedie che succedono, accadono … No. Per Lui era più importante quella vedova e quell’orfano morto, che la folla alla quale Lui stava parlando e che lo seguiva. Perché? Perché il suo cuore, le sue viscere si sono coinvolti. Il Signore, con la sua compassione, si è coinvolto in questo caso. Ebbe compassione”.

La compassione dunque spinge “ad avvicinarsi”, ha ribadito il Papa: si possono vedere tante cose ma non avvicinarsi ad esse. “Avvicinarsi e toccare la realtà. Toccare. Non guardarla da lontano. Ebbe compassione - prima parola - si avvicinò - seconda parola. Poi fa il miracolo e Gesù non dice: ‘Arrivederci, io continuo il cammino’: no. Prende il ragazzo e cosa dice? ‘Lo restituì a sua madre’: restituire, la terza parola. Gesù fa dei miracoli per restituire, per mettere al proprio posto le persone. Ed è quello che ha fatto con la redenzione. Ebbe compassione - Dio ebbe compassione - si avvicinò a noi in suo Figlio, e restituì tutti noi alla dignità di figli di Dio. Ci ha ricreati tutti”.

L’esortazione è a “fare lo stesso”, prendere esempio da Cristo, avvicinarsi ai bisognosi, non aiutarli “da lontano”, perché c’è chi è sporco, “non fa la doccia”, “puzza”.

“Tante volte guardiamo i telegiornali o la copertina dei giornali, le tragedie … ma guarda, in quel Paese i bambini non hanno da mangiare; in quel Paese i bambini fanno da soldati; in quel Paese le donne sono schiavizzate; in quel Paese … oh, quale calamità! Povera gente … Volto pagina e passo al romanzo, alla telenovela che viene dopo. E questo non è cristiano. E la domanda che io farei adesso, guardando tutti, anche a me: ‘Io sono capace di avere compassione? Di pregare? Quando vedo queste cose, che me le portano a casa, attraverso i media… le viscere si muovono? Il cuore patisce con quella gente, o sento pena, dico ‘povera gente’, e così … ‘. E se non puoi avere compassione, chiedere la grazia: ‘Signore, dammi la grazia della compassione’”!

Con la “preghiera di intercessione”, con il nostro “lavoro” di cristiani, ha concluso Francesco, dobbiamo essere capaci di aiutare la gente che soffre, affinché “venga restituita alla società”, alla “vita di famiglia”, di lavoro; insomma: alla “vita quotidiana”.

 

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