Pakistan, al rogo un quartiere ahmadi per "blasfemia": morte una nonna con le sue nipotine
Islamabad (AsiaNews) - Un nuovo orrore è stato compiuto in Pakistan in nome della "blasfemia". Una donna e le sue due nipoti - di 1 e 7 anni - sono morte nel rogo appiccato il 27 luglio scorso da una folla inferocita nella Arafat Colony di Gujrawala, città a 220 chilometri a sudest di Islamabad. Le vittime appartengono alla comunità musulmana di confessione ahmadi. A scatenare la violenza un post pubblicato su Facebook da un ragazzo membro del gruppo e giudicato blasfemo da uno dei suoi "amici" sul social network.
Secondo la ricostruzione della polizia Aqib Salim, 17 anni, avrebbe postato un'immagine "blasfema", che ha fatto infuriare il suo amico musulmano Saddam Hussain. I due hanno iniziato a litigare, attirando le attenzioni di circa 150 persone. Il gruppo si è recato alla stazione di polizia per registrare un caso di blasfemia. Mentre gli agenti interrogavano la folla, un altro gruppo ha attaccato le case degli ahmadi.
Salim ud Din, portavoce della comunità, afferma che si tratta del "peggior attacco subito in quattro anni, quando i nostri luoghi di culto vennero assaltati simultaneamente e 86 persone vennero uccise". "La polizia - denuncia - era lì ma ha guardato senza fare nulla. Prima hanno razziato abitazioni e negozi e poi hanno appiccato il rogo". Nell'incendio sono rimaste ferite altre otto persone, ma il ragazzo "incriminato" non ha riportato ferite.
Fondata alla fine del 19mo secolo in India, la dottrina ahmadi è considerata "eretica" da buona parte del mondo musulmano sunnita e sciita. Essa onora il proprio fondatore, Mirza Ghulam Ahmad, e presenta credenze legate ad altre religioni. In Pakistan la legge vieta ai suoi fedeli di usare saluti e preghiere islamiche, e di riferirsi ai loro luoghi di culto come "moschee".
Per questo, gli ahmadi sono una delle comunità - insieme ai cristiani - spesso vittime delle leggi sulla blasfemia, usate per perseguitare le minoranze. In base a queste leggi, chi è trovato "colpevole" del reato di blasfemia rischia la pena di morte.
Il 2 luglio scorso Paul Bhatti, ex ministro federale per l'Armonia nazionale e leader dell'Apma (All Pakistan Minorities Alliance), è intervenuto a una conferenza per l'attuazione di una moratoria sulla pena di morte organizzata dall'Alto commissariato Onu per i Diritti umani e dalla Missione permanente dell'Italia alle Nazioni Unite. A sostegno della moratoria, egli ha ricordato che "la pena di morte può incoraggiare il terrorismo e perpetuare una cultura della morte. Un governo che prevede l'esecuzione come condanna diffonde un messaggio ambiguo ai suoi cittadini: che punire con la morte è giustificato". Così "spesso false accuse vengono mosse per sistemare questioni personali, per prendere di mira vittime facili, che per l più appartengono ai settori oppressi ed emarginati della comunità. E per chi ha mire più estremiste, per produrre veri atti di violenza contro di essi, inclusa l'esecuzione".
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