20/02/2019, 09.05
IRAN - CINA - USA
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Nonostante le sanzioni Usa, cresce la vendita di petrolio iraniano

Le esportazioni a inizio 2019 hanno superato le previsioni di esperti e industriali. A gennaio si sono toccate punte di 1,3 milioni di barili al giorno. A dicembre il dato era sotto il milione. Corsa all’acquisto prima della stretta finale di Washington. Pechino e Teheran rafforzano la partnership.

Teheran (AsiaNews) - A dispetto delle pressioni e delle minacce provenienti dalla Casa Bianca, le esportazioni iraniane di petrolio a gennaio 2019 hanno superato le previsioni e, anche per il mese corrente, il dato si mantiene stabile. La conferma arriva da fonti industriali ed esperti del settore, secondo i quali alcuni clienti abituali del greggio degli ayatollah hanno aumentato gli ordini approfittando di alcune deroghe alle sanzioni statunitensi. 

Secondo i dati forniti da Refinitiv Eikon e da una compagnia che traccia le esportazioni, nel mese di febbraio la media delle spedizioni è di circa 1,25 milioni di barili al giorno (bpd). A gennaio il dato variava fra gli 1,1 e gli 1,3 milioni di bpd; un valore ben superiore alle stime degli esperti in base alla stretta di Washington sul greggio iraniano e ai dati registrati a dicembre, inferiori al milione. 

Ad aprile dello scorso anno, prima del ritiro degli Stati Uniti dall’accordo nucleare, il dato relativo alle esportazioni era di 2,5 milioni di barili al giorno. 

Fonti bene informate nel mondo industriale sono convinte che “la gente cerca di prendere quanto più possibile, in vista della stretta finale” prevista per il mese di maggio, in cui la morsa delle sanzioni Usa dovrebbe farsi ancora più dura. Certo, l’aumento dell’export suona come uno schiaffo in faccia per l’amministrazione guidata da Donald Trump, che considera l’Iran minaccia numero uno per il Medio oriente. Tuttavia, un rinnovato sforzo per bloccare i flussi rischia di far impennare i prezzi del petrolio, a causa delle limitazioni imposte di recente anche al Venezuela.

Al centro della controversia la guerra economica, diplomatica e commerciale lanciata da Trump alla Repubblica islamica. Nel maggio scorso la Casa Bianca ha ordinato il ritiro dall’accordo nucleare (Jcpoa) voluto dal predecessore Barack Obama, introducendo nuove sanzioni contro Teheran, le più dure della storia. Una decisione che ha provocato un significativo calo nell’economia iraniana e un crollo iniziale nelle vendite di petrolio, obiettivo della seconda parte delle sanzioni in vigore dal 4 novembre. A farne le spese, è stata in primis la parte più debole della popolazione.

Intanto l’Iran guarda con sempre maggiore insistenza verso la Cina e altri partner regionali, per arginare l’accerchiamento statunitense, arabo e israeliano. A pochi giorni dalla visita ufficiale del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman a Pechino, la leadership comunista cinese ha voluto rafforzare la “fiducia strategica” con la Repubblica islamica. 

Incontrando il ministro iraniano degli Esteri Mohammad Javad Zarif, accolto con tutti gli onori a Pechino, il consigliere cinese per la sicurezza di Stato Wang Yi ha elogiato la politica di Teheran e auspicato “un approfondimento della fiducia strategica” e “nuovi progressi” nella partnership. Ad accompagnare il capo della diplomazia di Teheran vi sono il presidente del Parlamento Ali Larijani e il ministro del Petrolio Bijan Zanganeh. “Il nostro rapporto con la Cina - ha detto Zarif - è molto prezioso. Consideriamo la partnership strategica globale fra Iran e Cina come una delle relazioni più importanti” per la Repubblica islamica.

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