Myanmar, il Parlamento esclude Aung San Suu Kyi dalle elezioni presidenziali
Yangon (AsiaNews) - Il parlamento birmano, riunito oggi in seduta comune a Naypyidaw, capitale del Myanmar, non ha approvato la proposta di emendamenti alla Costituzione, mantenendo così in vigore il potere di veto dei militari sulle riforme della Carta. Per la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi sembrano così spegnersi le già residue speranze di poter concorrere alla presidenza del Paese, in occasione delle elezioni generali di fine anno. Alla “Signora”, infatti, serve una modifica della Costituzione che i militari ben difficilmente saranno disposti a concedere.
La proposta di modifica della controversa Carta - approvata nel 2008 in piena emergenza causata dal ciclone Nargis e che affida, di fatto, il potere nelle mani dei militari (25% dei seggi) e del partito di governo che ne è diretta emanazione - ha ricevuto il sostegno della maggioranza dei votanti. Tuttavia, non è stato raggiunto il 75% dei parlamentari, necessario - secondo Costituzione - per introdurre modifiche.
Il voto è giunto oggi al termine di un dibattimento durato tre giorni e che ha visto la partecipazione di entrambe le camere. Per passare, la mozione avrebbe dovuto ricevere il sostegno di almeno 498 parlamentari sui 664 in totale (la famigerata soglia del 75%). Tuttavia i voti favorevoli sono stati “solo” 388 (sugli oltre 600 partecipanti), una maggioranza che non basta però a garantire il via libera alla Nobel per la pace per la carica più alta dello Stato.
Al centro della controversia il famigerato articolo 59 della Costituzione del Myanmar, una norma contra personam stilata su misura per Aung San Suu Kyi, che impedisce a un cittadino birmano di diventare presidente se ha figli stranieri (i suoi sono britannici, come il defunto marito). Nei mesi scorsi la leader della Lega nazionale per la democrazia - principale partito di opposizione e probabile trionfatore nel voto che si terrà fra ottobre e novembre - aveva legato i “cambiamenti sinceri” del Myanmar a una modifica democratica della Costituzione.
Commentando ad AsiaNews il voto di oggi Benedict Rogers, team leader per l'East Asia di Christian Solidarity Worldwide (Csw) e grande esperto di Myanmar, parla di “passo indietro, che non sorprende”. Il giornalista e attivista ricorda che “per oltre un anno” si è assistito a una fase di stallo nelle riforme e il voto di oggi potrebbe segnare “la battuta d’arresto” definitiva. Il team leader Csw ricorda alcuni cambiamenti positivi nella ex Birmania negli ultimi quattro anni, ma aggiunge anche che “non vi sono state modifiche fondamentali nel quadro costituzionale e politico”. Per questo le prossime elezioni si possono sin d’ora definire “in parte ingiuste, anche se relativamente libere”. E la transizione che ha riguardato il Paese “non è dalla dittatura alla democrazia”, conclude, quanto piuttosto verso una “forma più sottile e sofisticata di autoritarismo” dei militari.
“Nessuna sorpresa” anche per Aye Chan Naing, direttore del sito dissidente Democratic Voice of Burma (Dvb), secondo cui “è chiaro fin dall’inizio che [i militari] non vogliono che diventi presidente”. “Non si capisce perché - aggiunge - avrebbero dovuto cambiare idea proprio ora”.
01/07/2015
05/01/2018 11:44