05/01/2016, 00.00
VIETNAM - CINA
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Mar Cinese meridionale: pescatori vietnamiti vittime delle aggressioni di imbarcazioni cinesi

di Paul N. Hung
Nel 2015 decine di migliaia di famiglie vittime “dell’impero rosso”. Imbarcazioni para-militari di Pechino minacciano e affondano pescherecci di Hanoi, atteggiamento “disumano e aggressivo”. L’ultimo incidente è avvenuto il primo gennaio. Pechino persegue la politica “imperialista” a dispetto delle proteste di Vietnam e Filippine.

Hanoi (AsiaNews) - “Nel 2015, in un solo anno, decine di migliaia di famiglie di pescatori sono state vittime 'dell’impero rosso'. Si tratta di finte imbarcazioni da pesca o, piuttosto, di imbarcazioni para-militari battenti bandiera della Cina. Esse hanno minacciato e usato violenza contro i pescatori vietnamiti. Hanno un atteggiamento disumano e aggressivo all’interno delle acque territoriali del Vietnam”. È questa la denuncia, raccolta da AsiaNews, di associazioni e gruppi di pescatori vittime ormai da tempo delle violenze e degli abusi di navi, imbarcazioni e pescherecci battenti bandiera di Pechino, che solcano le acque del mar Cinese meridionale.

Si tratta di territori contesi, che il governo cinese pretende di controllare - a discapito di Vietnam, Filippine e altre nazioni dell’area - a proprio uso economico e commerciale esclusivo. 

L’ultimo caso risale al primo giorno del 2016, quando il peschereccio vietnamita Qng 98459 TS, con base nella provincia Quảng Ngãi, è stato colpito e affondato da una nave in ferro battente bandiera cinese. L’incidente è avvenuto nei pressi della Cồn Cỏ Island, a meno di 40 miglia (70 km) dalla costa vietnamita.

Il sig. Huỳnh Thạch, capitano e proprietario dell’imbarcazione, racconta che “all’improvviso il mio peschereccio è stato affiancato e colpito da una nave in ferro della Cina. L’urto ha fatto cadere in mare e ferito diversi pescatori". Il capitano aggiunge che la nave cinese “ha colpito una seconda volta” il nostro peschereccio “in legno”, per accertarsi che affondasse. “Dopo l’impatto - conclude - due persone a bordo della nave cinese ci hanno guardato e hanno indicato la nostra barca mentre affondava”. Alcuni pescatori della zona aggiungono che oggi “la gente ha paura di solcare le acque delle province centrali del Vietnam”, nel timore di attacchi cinesi. Da qui l’appello al governo di Hanoi, perché tuteli i lavoratori che operano dei confini nazionali. 

Al centro della controversia il controllo del Fiery Cross Reef, all’interno delle isole Spratly, dove la Cina ha costruito nel luglio scorso un atollo artificiale; un’area di 2,74 km2, frutto di un progetto che è costato alle casse di Pechino almeno 12 miliardi di dollari. 

Nella zona la Cina ha costruito 9 ponti portuali, due eliporti, 10 antenne di comunicazione via satellite e stazioni radar militari. Infine, Pechino ha realizzato una pista di atterraggio lunga oltre 3 km e larga 60 metri, che permette il decollo e l’atterraggio di bombardieri strategici sulle Spratly, da cui è possibile controllare lo spazio aereo del Pacifico occidentale. Su queste piste il governo cinese ha effettuato un testo di volo che ha fatto infuriare Vietnam e Filippine, che hanno promosso proteste ufficiali; tuttavia, le rimostranze di Hanoi e Manila non hanno avuto alcun effetto pratico verso la Cina, che persegue la politica “imperialista” nella regione. 

Il governo cinese rivendica una fetta consistente di oceano, che comprende le Spratly e le Paracel, isole contese da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia (quasi l'85% dei territori), e ha avviato la costruzione di una serie di isole artificiali, con impianti militari. In risposta Hanoi e Manila - che per prima ha promosso una vertenza internazionale al tribunale Onu - hanno rinsaldato i legami bilaterali e cercano da tempo di contrapporre un fronte comune. 

A sostenere i Paesi del Sud-Est asiatico vi sono anche gli Stati Uniti, che hanno giudicato “illegale” e "irrazionale" la cosiddetta “lingua di bue” usata da Pechino per marcare il territorio, fino a comprenderne quasi l'80% dei 3,5 milioni di kmq.

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