Lo Stato islamico conquista Ramadi; in Siria si ritira da Palmira
Baghdad (AsiaNews/Agenzie) - Le milizie dello Stato islamico hanno conquistato Ramadi, da tempo al centro di un’aspra battaglia con l’esercito irakeno per il controllo del capoluogo della provincia di Anbar e distante poco più di 100 km dalla capitale, Baghdad. Il premier irakeno Haidar al-Abadi ha ordinato alle forze armate di non ritirarsi e invita alla battaglia; per il Pentagono la situazione è tuttora “fluida” e presto i militari governativi potrebbero riprendere il dominio sull’area. Intanto i combattenti jihadisti segnano il passo in Siria, dove l’esercito del presidente Bashar al Assad è riuscito a respingere l’assalto al sito archeologico di Palmira, patrimonio Unesco.
In queste ore a Ramadi si è assistito alla ritirata “caotica” di militari e polizia irakena, al termine di giornate di intensi combattimenti con lo Stato islamico. I soldati governativi avrebbero abbandonato le posizioni e la città è ora nelle mani dei jihadisti. La città è capoluogo della più vasta provincia irakena, Anbar.
In un comunicato ufficiale lo SI afferma che i propri combattenti hanno “purgato l’intera città”. I miliziani hanno assunto il controllo di una base militare dell’esercito regolare e requisito carri armati e missili abbandonati dai soldati in fuga. Fonti locali affermano che la zona è sotto il “totale controllo” degli islamisti e tutte le truppe governative “si sono ritirate”.
Il premier irakeno al-Abadi ha ordinato alle truppe di rimanere sul terreno aggiungendo che sta inviando nella zona le milizie sciite a sostegno dell’esercito governativo per riconquistare la città. Tuttavia, la maggior parte dei soldati si sono rifugiati nella base di Khalidiya, a est di Ramadi. Un portavoce militare dietro anonimato afferma che il battaglione stava finendo le scorte di armi e munizioni e non sarebbe stato in grado di respingere l’assalto dei jihadisti.
La perdita di Ramadi costituisce una grave battuta d’arresto per il governo di Baghdad. Per il Pentagono però la situazione resta “fluida”, dato che "tuttora sono in corso combattimenti in città"; lo Stato islamico ha conquistato un margine di vantaggio, ma per gli esperti americani la situazione potrebbe presto cambiare.
Intanto le milizie dello SI segnano il passo in Siria, a Palmira, patrimonio Unesco e fra i siti archeologici più importanti di tutto il Medio oriente. I jihadisti si sono ritirati senza riuscire a colpire o danneggiare le rovine, come conferma il direttore delle antichità e dei musei Mamoun Abdulkarim. “Non ci sono danni alle rovine” dichiara l’uomo, aggiungendo però che “questo non significa che non bisogna essere preoccupati”.
In quattro giorni di combattimenti - concentrati nella città siriana di Tadmur - sarebbero morte oltre 300 persone. Secondo quanto riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani la maggior parte dei morti riguarda soldati governativi e miliziani, cui si aggiungono anche 57 civili finiti sotto il tiro incrociato. Dozzine le persone giustiziate dai miliziani dello Stato islamico nella zona teatro dei combattimenti.
Secondo gli esperti l’obiettivo dei jihadisti è il controllo delle vie di comunicazione che da Damasco e Homs viaggiano in direzione orientale. Essi inoltre puntano a colpire prigioni e depositi di gas e petrolio. Il sito archeologico è un obiettivo secondario ma, come avvenuto in Iraq, se dovesse cadere nelle loro mani non esiterebbero a distruggerlo quale simbolo di paganesimo.
Sempre in Siria un raid delle forze speciali statunitensi ha ucciso 32 miliziani dello Stato islamico, fra cui quattro figure di primo piano del cosiddetto Califfato. Fra questi vi sarebbe il responsabile petrolifero dello SI Abu Sayyaf, il vice-ministro della Difesa e il responsabile delle Comunicazioni. L’operazione si è svolta nella notte del 15 maggio e aveva come obiettivo la cattura di Abu Sayyaf. L’operazione di terra, una delle poche compiute dall’esercito americano in Siria, ha ricevuto il via libera dallo stesso presidente Usa Barack Obama.
29/09/2017 08:58