La mano lunga del governo e militari sul voto, a rischio le elezioni in Myanmar
Yangon (AsiaNews) - La lunga mano dei militari e del partito di governo si allunga sempre più sulle prossime elezioni generali in Myanmar, in programma il prossimo 8 novembre, che secondo analisti ed esperti pro diritti umani risulterebbero già sin d’ora “ingiuste” e parziali. Difatti, secondo quanto prevede la Costituzione il 25% dei seggi è già riservato per legge ad alti ufficiali e rappresentanti dell’esercito; ecco perché allo Union Solidarity and Development Party (Usdp), emanazione della vecchia giunta al potere, basta solo il 26% dei voti per garantirsi la scelta del prossimo presidente.
Rispetto alle elezioni del 2010, boicottate dalla Lega nazionale per la democrazia (Nld), la ex Birmania ha intrapreso un cammino di riforme che ha portato alcuni cambiamenti; tuttavia, negli ultimi mesi il processo di democratizzazione ha subito un brusco rallentamento.
Saranno oltre 30 milioni i cittadini chiamati alle urne, le prime in cui saranno da subito presenti i principali schieramenti politici del Paese, fra cui la Nld che aveva vinto le elezioni del 1990, mai riconosciute dai generali. In lizza circa 90 fra partiti e movimenti politici di varia natura ed estrazione. Al futuro Parlamento spetterà il compito di eleggere il nuovo presidente, una carica cui non può aspirare la Nobel per la pace, a causa di una norma contra personam che la esclude dalla corsa. Il principale favorito per la vittoria finale resta lo Usdp, che controlla la vita politica e istituzionale del Paese.
Analisti ed esperti denunciano l’uso da parte del partito di governo di istituzioni e fondi statali per promuovere la propria campagna e praticare il voto di scambio. Gli strateghi dell’Usdp, avendo dubbi sulla vittoria alle urne, hanno messo in campo “sistematiche manipolazioni” e sfruttato la religione (buddista) per fomentare il nazionalismo. A questo si aggiunge l’uso delle milizie e dell’esercito per influenzare il voto nelle aree teatro di conflitti, guerra psicologica nella formazione delle liste e campagne che spingerebbero i cittadini - di alcune aree - a boicottare il voto.
Intanto si moltiplicano gli appelli al governo, al presidente uscente Thein Sein e alla comunità internazionale perché vi sia un controllo serrato sulle operazioni di voto ed elezioni davvero “libere e giuste”. Fra queste vi è la “chiamata” al voto lanciata da Kyaw Thu, 56enne artista birmano e attivista pro diritti umani, recente vincitore dell’edizione 2015 del Ramon Magsaysay Award, il Nobel asiatico. Cofondatore della Free Funeral Services Society (Ffss), egli denuncia “sforzi continui e sistematici volti a manipolare le elezioni” ad opera di militari e funzionari di partito radicati nelle istituzioni, esponenti dello Usdp e affiliati. “Intimidazioni e diffusione di un senso generale di insicurezza - aggiunge - sono una delle tattiche essenziali per influenzare il risultato”, grazie alla collaborazione di “criminali rilasciati dalle carceri per le ripetute amnistie, milizie armate pro-regime, bande organizzate, monaci estremisti e autorità locali”. Tuttavia, egli non dispera e conclude affermando che “la Nld può comunque ottenere un buon risultato”, soprattutto se potrà godere del sostegno delle milizie etniche che non si schierano a fianco dei militari.
Sul tema delle elezioni in Myanmar è tornato di recente anche il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon. Il porporato ha lanciato un appello per elezioni libere, giuste e trasparenti per restituire fiducia al Paese e un nuovo impulso al cammino di democratizzazione dopo 50 anni di “lacrime e sangue”. Egli si rivolge al popolo e ai governanti perché rendano il voto “un vero esercizio di democrazia”. Compito dei candidati, aggiunge, è quello di favorire il rispetto reciproco e la pace nel lungo periodo.