11/09/2024, 11.09
LIBANO - ISRAELE
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La guerra di Hezbollah a Israele e i contadini cristiani che lottano per salvare le olive

di Fady Noun

Con l’avvicinarsi della stagione della raccolta a metà ottobre nel Libano meridionale aumentano i timori legati alla sicurezza. Una incertezza alimentata da voci di una possibile escalation sul fronte libanese fra i miliziani e Idf. Gli agricoltori sperano nella protezione dell’Unifil. L’olivicoltura produce tra le 100 e le 200mila tonnellate all’anno, il 70% per la spremitura.

Beirut (AsiaNews) - Giunti ormai al dodicesimo mese della “guerra di sostegno” (a Gaza) che Hezbollah ha sferrato contro Israele, la situazione nei villaggi di frontiera del sud del Libano è più incerta che mai. Dopo alcuni giorni di relativa calma, dal fronte israeliano si registra di nuovo una intensificazione delle operazioni militari, per “riportare nelle loro case la popolazione” del nord dello Stato ebraico. È in questo quadro di crescenti tensioni che i raid israeliani si sono intensificati negli ultimi giorni, prendendo di mira nuove regioni nell’ambito della strategia finalizzata a “creare cinture di fuoco” nelle valli e nelle foreste che collegano le città. Anche Hezbollah ha optato per un cambiamento di tattica, facendo sempre più uso di droni nelle sue operazioni.

Con l’approssimarsi della stagione della raccolta delle olive, ai coltivatori e proprietari terrieri è fatto obbligo di prudenza. Un approccio obbligato, sebbene finora i bombardamenti israeliani restino selettivi, risparmiando i villaggi e i centri residenziali popolati dai cristiani, i cui uliveti sono del resto custoditi con cura e attenzione dai loro proprietari.

È questo il caso di Deir Mimas, Bourj el-Moulouk, Kleyaa e Rachaya, nel distretto di Marjeyoun. I consiglieri di questi villaggi, alcuni dei quali si sono spopolati a causa delle circostanze attuali caratterizzate da guerra e violenze, hanno appena informato l’esercito libanese e il comando della Forza internazionale di pace Onu (Unifil) della loro intenzione di procedere alla raccolta delle olive. Tuttavia, avvertono i leader locali, “non inizieremo alcunché fino a quando non avremo una scorta dell’Unifil, sapendo che la situazione sembra destinata a peggiorare di nuovo”, concorda un coltivatore di Deir Mimas.

“Sarà mai dato sapere?”

“Non lo sapremo mai!”, esclama in risposta al quesito un abitante dello stesso villaggio, dietro garanzia di anonimato (*). “Un proiettile lanciato da un carro armato ha colpito la nostra casa l’altra notte. È un miracolo che non siamo stati fatti a pezzi. Ma ci siamo rifiutati di parlarne con i media, venuti con le loro telecamere. I nostri concittadini intorno a noi sono nervosi per i rischi che corrono, e li capiamo. Molti di loro [sciiti legati al movimento libanese di Hezbollah] hanno perso la vita in combattimento. Non possiamo lamentarci pubblicamente di una guerra che deploriamo, ma che loro considerano un dovere sacro”.

“D’altro canto - aggiunge l’uomo - vi è anche la brutalità dell’esercito israeliano non conosce limiti. Qualche giorno fa hanno bombardato un’autopompa della Protezione Civile che stava spegnendo l’incendio in un uliveto, uccidendo i tre uomini a bordo che la stavano utilizzando”. 

I cristiani del sud del Libano, come la stragrande maggioranza degli abitanti del Paese dei cedri, erano ostili all’apertura di un fronte con Israele l’8 ottobre 2023, il giorno dopo l’attacco sferrato da Hamas a Gaza. Tuttavia, Hezbollah ha lanciato le ostilità unilateralmente, senza consultare nessun altro leader o rappresentante interno alla nazione. 

“La raccolta inizia a metà ottobre e dura generalmente un mese e mezzo” spiega Fouad (*), che è fuggito dalla sua casa di Deir Mimas. Sa però che dovrà farvi ritorno per almeno sei, otto settimane, nonostante i rischi, il tempo necessario per raccogliere e vendere i prodotti della raccolta.

“Speriamo di vendere un gallone da 20 litri a 200 dollari quest’anno, rispetto ai 150 dollari dell’anno scorso”, auspica l’uomo. Questo aumento è dovuto all’inflazione, che si riflette sul costo della manodopera. E aggiunge: “Preferiamo assumere lavoratori giornalieri libanesi piuttosto che siriani. Abbiamo già firmato un accordo con i giovani della regione del fiume Wazzani. Verranno nella zona per lavorare, ma li abbiamo avvertiti che quest’anno dovranno farlo in fretta”.

Gli abitanti di questi villaggi [cristiani], che fanno capo al contingente spagnolo dell’Unifil, hanno assicurato che i prodotti non hanno risentito dei bombardamenti al fosforo bianco compiuti dall’esercito israeliano. Un materiale usato a volte dai militari dell’Idf come scudo per i razzi o, ancora, come proiettile incendiario e il cui utilizzo è fonte di grandi polemiche e accuse.

“La nostra zona non è stata bombardata e l’Unifil ha effettuato le analisi necessarie; ci è stato assicurato che il nostro terreno non è contaminato” spiega ad AsiaNews l’agricoltore. “Tuttavia - aggiunge con un sorriso - sembra che tutti coloro che lasciano temporaneamente le loro case, le trovino infestate da roditori e insetti al ritorno. Ci hanno detto ciò è dovuto al fatto che i bombardamenti spaccano i terreni, fratturandoli, favorendo in questo modo la fuoriuscita degli animali dai loro nidi e dalle loro tane”.

L’olivicoltura produce tra le 100 e le 200mila tonnellate di olive all’anno. Circa il 30% del raccolto viene utilizzato come olive da tavola. Il restante 70% viene destinato alla spremitura per estrarre l’olio: secondo le cifre ufficiali, in Libano si producono ogni anno tra le 15mila e le 25mila tonnellate di olio d’oliva.

* I nomi sono omessi o inventati su richiesta degli stessi intervistati, a tutela della loro identità e per il timore di ritorsioni

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