12/10/2015, 00.00
TURCHIA
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La Turchia verso una guerra civile

di NAT da Polis
Sul doppio attentato kamikaze di due giorni fa ad Ankara vi sono conflitti sul numero delle vittime e sui mandanti. Il partito di Erdogan punta il dito verso il Pkk, movimenti di sinistra e Isis. Il partito kurdo accusa il governo di giocare alla strategia della tensione per vincere le elezioni del primo novembre.

Istanbul (AsiaNews) - Il numero delle vittime delle bombe-suicide esplose al raduno di pace del 10 ottobre nel centro di Ankara, per la questione kurda in Turchia, non è stato ancora stabilito in modo definitivo.

Secondo le informazioni ufficiali, esse sarebbero 95; secondo il partito kurdo dell’Hdp, i morti sono addirittura 127 e oltre 500 i feriti.

L’incertezza sul numero delle vittime di quest’ultimo attentato, alla vigilia delle elezioni politiche anticipate del primo novembre, è solo un ulteriore simbolo di uno scivolamento verso l’incertezza politica futura. Il clima che si respira in tutto il Paese è quello di una strisciante guerra civile.

In queste elezioni il partito del presidente turco Tayip Erdogan aspira a riprendersi la maggioranza assoluta nel parlamento turco, per poter imporre così un regime presidenziale. Alle ultime elezioni parlamentari, il 7 giugno scorso, pur ottenendo il 40,86%, il suo partito Akp si è visto sbarrare la soglia alla maggioranza dei 276 seggi, causata dall’ingresso nel parlamento  del partito filokurdo Hdp di Selahatin Demirtas.

Con il risultato del 13.3%, l’Hdp  ha impedito al partito di Erdogan di ottenere  quella  maggioranza della metà più uno dei seggi parlamentari, necessari per le varie  riforme, sottraendogli il controllo assoluto del Paese. Per la cronaca, quella è stata la prima volta nella storia repubblicana turca in cui un partito kurdo ha superato la soglia del 10 %, necessaria per entrare come gruppo al parlamento turco.

Tutto si gioca in questi ultimi giorni ed i sondaggi pare non diano delle previsioni favorevoli  al partito di Erdogan. Ma anche i due altri partiti di opposizione Chp e Mhp non dimostrano per il momento la volontà di collaborare con l’ Akp, a capo del quale si trova l’attuale primo ministro Ahmet Davutoglu.

Per il momento nessuno ha rivendicato l’attentato.

Tra gli osservatori internazionali, ha colpito il fatto che Davutoglu  si sia presentato ai media soltanto dopo 7 ore dalla strage, per dichiarare che ci sono  tre matrici all’origine dell’attentato: quella  del Pkk , dell’Isis  e di  varie organizzazioni di sinistra non ben definite.

Lo stesso Davutoglu nel dichiarare il lutto nazionale di 3 giorni, ha aggiunto che durante questi 3 giorni di lutto, verranno commemorati non sole le vittime  dell’attentato del 10 ottobre, ma anche i poliziotti i e i militari turchi caduti nella lotta contro il Pkk.

Ciò avviene anche se fonti dei servizi d’informazione, confermano che all’origine della strage vi sono i militanti dell’Isis.

I kurdi accusano invece Erdogan e il suo “Stato profondo  (derin devlet)” : esso avrebbe provocato gli ultimi attentati, per imporre alla vigilia delle prossime elezioni parlamentari uno stato di tensione, basato su un   nazionalismo di ritorno tra la popolazione non kurda.

Lo stesso capo dell’Hdp Salahatin Demirtas, ha dichiarato con ironia: “Sorprende il fatto che in uno Stato come la Turchia, dove i servizi di informazione  controllano anche il volo degli uccelli, non sia stato possibile  prevedere l’attentato” di due giorni fa.

In seguito alle violenze, ieri il premier Davutoglu ha invitato a colloquio Kemal Kilicdaroglu, capo del Chp, maggiore partito di opposizione, Devlet Bahceli, capo dell’Mhp ,partito dell’estrema destra nazionalista.

Kemal Kilicdaroglu ha posto come condizione preliminare per l’incontro, l’immediato allontanamento dei ministri dell’interno e della giustizia. Bahceli ha rifiutato l’invito.

Da osservare che non è stato per nulla invitato Selahatin Dermitas, il capo del partito filocurdo Hdp.

Intanto le forze militari turche hanno continuato ad attaccare le postazioni del Pkk, malgrado la proposta di quest’ultimo di operare un cessate il fuoco sino alle prossime elezioni politiche.

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