19/09/2017, 09.01
IRAQ
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La Corte suprema sospende il referendum sul Kurdistan

Il tribunale supremo intende esaminare i ricorsi ricevuti in merito al voto. Al centro della controversia la “costituzionalità” del referendum. Una delegazione curda attesa a Baghdad per un incontro ufficiale. Preoccupazione fra le cancellerie mondiali: il voto rischia di indebolire l’alleanza arabo-curda anti Isis e innescare un nuovo conflitto interno. 

 

Baghdad (AsiaNews/Agenzie) - La Corte suprema irakena ha ordinato la sospensione del referendum curdo per l’indipendenza, in programma il prossimo 25 settembre, che molte divisioni e polemiche ha già sollevato in ambito regionale e internazionale. Intanto continua a crescere la campagna di pressione delle cancellerie mondiali - ad eccezione di Israele, unica potenza favorevole alla secessione di Erbil - per la cancellazione dell’imminente voto. 

A meno di una settimana dalla consultazione referendaria, i supremi giudici hanno emesso “l’ordine di sospendere l’organizzazione” fino a che verranno presi in esame “i ricorsi ricevuti”; al centro della questione vi è infatti la “costituzionalità” del voto stesso.

Ayas al-Samouk, portavoce della Corte suprema, ha confermato la deposizione nelle scorse settimane di “numerosi ricorsi”; fonti giudiziarie aggiungono che almeno otto parlamentari sarebbero ricorsi al tribunale per fermare il referendum. Sulla vicenda è intervenuto anche l’ufficio del Primo Ministro Haider al-Abadi, il quale non intende privarsi di una regione ricca di petrolio e strategica nella lotta ai jihadisti dello Stato islamico (SI, ex Isis). 

Finora il presidente curdo Massud Barzani, in prima fila nella lotta per l’indipendenza, non ha voluto commentare la disposizione della Corte suprema. Oggi una delegazione curda è attesa a Baghdad per discutere con il governo irakeno della questione; all’incontro non sarà presente il premier, che è già a New York per partecipare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. 

A Erbil è già arrivato il ministro britannico della Difesa Michael Fallon, che intende cercare di convincere Barzani a bloccare la macchina referendaria. “Dirò a Massud Barzani - ha affermato Fallon - che non sosteniamo il referendum curdo” e lavoriamo per un piano Onu “alternativo”. 

Il timore diffuso è che il voto pro indipendenza possa indebolire l’alleanza arabo-curda, che si è rivelata fondamentale nella lotta contro le milizie dello SI in Iraq e nella vicina Siria. A questo si aggiunge il pericolo di una nuova guerra interna all’Iraq - come sottolineato di recente dal Patriarcato caldeo, che invoca dialogo e riconciliazione - che vede opposti arabi (irakeni) e curdi. 

In queste ore anche la Turchia si sta muovendo sullo scacchiere regionale, in vista di un voto che rischia di alimentare anche l’irredentismo interno nella regione sud-orientale, a maggioranza curda e già teatro in passato di una lotta separatista. Da qui la decisione di ammassare truppe al confine irakeno e di promuovere una serie di operazioni militari. 

Analisti ed esperti sottolineano che la nascita di un bastione curdo in un’area già contesa rischia di infiammare ancor più la regione mediorientale: una divisione dell’Iraq finirebbe per ridimensionare in modo considerevole le possibilità di influenza esercitate da Turchia, Iran, Arabia Saudita. E pure gli Stati Uniti sono pronti a sospendere gli aiuti militari al Kurdistan se la leadership di Erbil proseguirà con il progetto di voto. 

La situazione si presenta altrettanto critica nella vicina Siria, dove i curdi hanno giocato un ruolo strategico - e fondamentale - nella lotta contro l’Isis. L’area al centro della contesa è quella di Deir ez-Zor e i territori a est del fiume Eufrate, che sono fra l’altro quelli più ricchi di risorse petrolifere nel sottosuolo. Essa riveste un’importanza strategica anche per Damasco, per le numerose vie di collegamento che essa offre, e per la stessa Teheran, perché è parte del cosiddetto “corridoio sciita” che collega la capitale della Repubblica islamica al Mediterraneo.

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