10/01/2012, 00.00
CINA
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L’economia cinese è malata, come quella Usa

di Maurizio d'Orlando
Nuova iniezione di crediti – dopo la stretta anti-inflazione – e nuova emissione di moneta per salvarsi dalla crisi europea. Ma i crediti vanno per il 70% alle industrie statali e ai funzionari di partito; alle famiglie e alle piccole imprese solo poche gocce. È tempo di cambiare il modello di crescita di Pechino, che finora ha penalizzato il consumo interno. Materialismo confuciano e materialismo consumista Usa si sostengono insieme e insieme crolleranno.
Milano (AsiaNews) - Bollente, gelata ed ora di nuova calda: questa è la doccia – non scozzese, ma cinese – delle manovre sul credito cui è sottoposta l’economia dell’Impero Comunista di Mezzo, la Cina. Il riferimento è agli editti imperiali in materia di credito bancario. Prima c’è stata l’espansione, con la riduzione della percentuale di riserve monetarie, in relazione al capitale ed ai depositi, che le banche commerciali devono detenere presso la banca centrale. L’obbiettivo era di permettere alle banche di fornire più crediti all’economia e si sposava con il pacchetto di stimolo e sviluppo e il varo di numerosi progetti di spesa. É la struttura della politica economica e monetaria cinese decisa a seguito della prima fase della crisi economica globale che ha avuto avvio nel 2007 / 2008. Poi, visto il bollore dell’inflazione, gli editti si sono volti verso la gelata: alle banche viene chiesto di congelare una percentuale maggiore di disponibilità monetarie e così ridurre i crediti alle imprese. Ma dopo la (relativa) gelata, ora siamo di nuovo all’espansione.

Secondo i dati della Banca Popolare della Cina (BPdC), resi noti l’8 gennaio, lo scorso dicembre i crediti bancari sono cresciuti in un solo mese del 13,92 % passando da 562,2 a 640,5 miliardi di yuan (101 miliardi di dollari). È la conseguenza della decisione del 5 dicembre scorso dell’istituto di emissione, BPdC, che, in tale data, aveva infatti ridotto il tasso di riserva dello 0,5 % portandolo al 21 %. Su base annua la crescita della M2 – la base monetaria costituita dal contante in circolazione e dai depositi bancari – è stata del 13,6 %, mentre, sempre su base annua, a novembre la crescita della M2 era del 12,7 %, con un incremento perciò di 0,9%. È segno che i dirigenti cinesi sono allarmati dalla crisi del debito in Europa: temono che anche l’economia cinese possa schiantarsi al suolo e cercano di evitare tale prospettiva emettendo più moneta. Gonfiate da tali dati, le borse cinesi mettono ancora a segno dei rialzi di qualche punto.

AsiaNews è un’agenzia missionaria cattolica ed ai missionari è preclusa ogni speculazione. Se così non fosse ci sentiremmo di affermare che non c’è momento migliore per speculare al ribasso e questa non è pura cattiveria, ma semplice osservazione, oltre che reale preoccupazione per la gente comune della Cina.

In primo luogo c’è un indice, il PMI (Purchasing Manager Index), che è un buon indicatore dell’andamento a breve dell’attività manifatturiera ed è compilato sulla base di un sondaggio condotto tra i responsabili degli uffici acquisti delle imprese industriali. Per la Cina il segnale predittivo prossimo di tale indice è negativo[1], situandosi sotto la sensibile soglia di 50. Questo indica una prospettiva di contrazione dei livelli della produzione del settore manifatturiero a causa di una attesa di calo della domanda.

In secondo luogo, nonostante la stretta monetaria mantenuta dalla BPdC fino ad inizio dicembre, la massa di moneta M2 è molto elevata, 11.550 miliardi di dollari, ed è superiore a quella giapponese, (9.630 miliardi di dollari), e a quella americana (8.980 miliardi di dollari). Va detto che per lo scorso anno, il totale del credito concesso dal sistema bancario in Cina è stato pari a 7.470 miliardi di yuan, appena sotto la soglia stabilita dal governo per il 2011 di 7,5 mila miliardi di yuan[2].

Questa massa di credito bancario è inferiore a quello del 2010, che era stato pari a 7,95 mila miliardi di yuan, ma qui va fatto un raffronto di più lungo termine. In un decennio, dal 2001 al 2011, il credito bancario in Cina è cresciuto un po’ meno di 7 volte, mentre la crescita della M2 è stata di un po’ più di sette volte. I margini per stimolare l’economia della Cina, senza rischiare l’iperinflazione, sono perciò limitati. Nel 2008, per compensare il crollo della domanda globale, la Cina ha ampliato la propria offerta di moneta di uno straordinario 150%, un aumento che ha permesso ai dirigenti cinesi di mantenere alta la crescita economica per non rischiare di perdere il controllo politico. Oggi una tale manovra non sarebbe possibile.

In terzo luogo la Cina non può più contare su quello che è stato in questo decennio il combinato del motore della crescita cinese, esportazioni ed investimenti in conto capitale fisso. In questo decennio le esportazioni sono passate dal 25 % del Pil circa al 42 % nel 2008, con una media nel periodo superiore al 35 %. Elevatissimi, in rapporto a qualsiasi altro Paese ed a qualsiasi altra epoca, sono stati anche gli investimenti. Nel 2010 sono stati pari a circa il 45 % del Pil. In questi anni, a fronte di una progressiva deindustrializzazione in Europa e negli Usa, si è assistito ad un eccesso di investimenti in Cina, che hanno sì mantenuta alta la crescita cinese del Pil, ma che ora contribuiscono solo ad alimentare un peso insostenibile, quello della sovraccapacità produttiva.

Per i lettori di AsiaNews tutti questi non sono elementi nuovi, visto che sin dal suo inizio nel 2003 ne abbiamo trattato. La novità è che la crisi del debito nei Paesi occidentali rende lo sbocco delle esportazioni cinesi verso di essi non più incrementabile. Di conseguenza, il meccanismo cinese di crescita mediante il traino delle esportazioni verso tali Paesi e degli investimenti produttivi non è più praticabile. Dall’entrata definitiva degli accordi del Wto, l’abbattimento dei dazi doganali, la cosiddetta globalizzazione, la crescita del Pil cinese è stata determinata per circa il 70% da questi due fattori combinati e solo per il restante 30 % dalla crescita del consumo interno. Questo è il reale significato del termine “mercantilismo” riferito alla Cina dei nostri giorni, un’espressione ed un riferimento al mercantilismo europeo del settecento proposto da AsiaNews da svariati anni.

La Cina non può pensare di risolvere i propri problemi senza modificare il proprio modello di crescita e far leva sui consumi interni. Anche questo ad AsiaNews lo andiamo dicendo da svariati anni. Modificare degli schemi mentali consolidati sembra però essere molto difficile per la dirigenza cinese, anche perché il vecchio modello ha permesso loro di mantenere stabile il controllo della società in questi anni di transizione da una economia stalinista a quella capital-comunista attuale.

In questi anni il divario di reddito in Cina è aumentato, a scapito delle famiglie, cui in questi decenni è andato in media solo il 36 % del Pil, insieme alle piccole imprese, escluse dal sistema del credito bancario controllato per il 70 % dalle quattro maggiori banche commerciali cinesi.
Queste sono banche statali, controllate da funzionari del partito e finanziano di preferenza gli investimenti in infrastrutture volute dal partito, insieme con le grandi imprese statali, controllate anch’esse da funzionari del partito. Alle piccole e medie imprese non resta che il mercato “parallelo”, una rete di finanziarie che richiedono ben altri tassi d’interesse rispetto a quelli ufficiali. Per i piccoli imprenditori, il risultato della debolezza della crescita in Europa e nell’America settentrionale è stato perciò un tragico aumento dei suicidi; per i medi imprenditori, la via dell’emigrazione.

Sempre ancorati ad uno schema di crescita del Pil trainata dalle esportazioni, le autorità finanziarie cinesi hanno pensato di aver trovato una soluzione nell’espansionismo valutario: l’estensione dell’area di influenza dello yuan. Sin dal 2009, subito dopo l’esplodere della crisi finanziaria americana, la banca centrale cinese ha lanciato un programma di accordi di compensazione denominati in yuan per il saldo delle transazioni commerciali internazionali. Finora, come comunicato lo scorso 9 gennaio dalla banca centrale, nell’ambito di questo genere di accordi, sono state siglate intese con 14 Paesi. Lo scorso anno gli scambi commerciali il cui pagamento è stato saldato in base ad esse, hanno raggiunto un totale di 2.080 miliardi di yuan (USD 330 miliardi), mentre il regolamento in yuan di investimenti diretti ha raggiunto un totale di 110, 9 miliardi di yuan. Francamente non pensiamo che per ora e nell’immediato questa soluzione possa essere altro che un palliativo.

La verità è che la rapida crescita della Cina in questi ultimi 15 anni è stata alimentata dall’espansione senza precedenti dell’offerta di moneta degli Stati Uniti, a partire dagli anni ’90 e della crescita delle quotazioni della borsa americana, con la conseguente espansione della domanda in America di beni di consumo provenienti dalla Cina. I due materialismi gemelli, quello americano - finanziario e dei consumi - e quello cinese - confuciano e nazional-comunista - insieme si sono alimentati ed insieme cadranno. Lo scriviamo con dolore pensando alle sofferenze di tanti che si sono trovati intrappolati in essi.



[1] Vedi: HSBC China Manufacturing PMI del 30/12/2011,
http://www.markiteconomics.com/MarkitFiles/Pages/ViewPressRelease.aspx?ID=8969
[2] Vedi: Kevin Yao and Judy Hua, Reuters, 08/01/2012, China loan growth quickens http://www.reuters.com/article/2012/01/08/us-china-economy-idUSTRE80707Q20120108




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