Kachin: migliaia di civili in fuga dalle nuove violenze fra esercito e ribelli
Yangon (AsiaNews) - Sono più di 2mila gli abitanti di alcuni villaggi dello Stato Kachin, nel nord del Myanmar, al confine con la Cina, in fuga dalle nuove violenze fra esercito birmano e i ribelli locali del Kachin Independence Army (KIA). Il nuovo esodo è iniziato nelle prime ore della mattinata di ieri; in molti, per sfuggire ai colpi di mortaio e artiglieria, hanno cercato rifugio all'interno di chiese e monasteri della cittadina di Hpakant. Dietro gli scontri, il rapimento avvenuto il 14 gennaio di un politico locale da parte delle milizie ribelli; l'uomo è stato liberato il giorno successivo, ma l'esercito birmano ha approfittato del sequestro lampo per sferrare un nuovo attacco contro il Kia, colpendo al contempo civili inermi.
Fonti Kachin affermano di aver avvertito i militari dell'imminente rilascio del ministro dei Trasporti dello Stato Kachin Kamann Du Naw, ma "non hanno voluto attendere la liberazione" e ne hanno approfittato "per attaccarci". Non vi sono ancora notizie certe sulla sorte di tre poliziotti, che si trovavano in compagnia del politico al momento del rapimento.
Al momento non vi sono notizie di morti o feriti, ma restano migliaia le persone che hanno dovuto abbandonare le proprie case e ora sono state "accolte in chiese e monasteri". A dispetto dei tentativi di colloqui di pace fra le alte sfere governative, avverte un testimone, "sul campo di battaglia si continua a combattere".
Il Myanmar è composto da oltre 135 etnie, che hanno sempre faticato a convivere in maniera pacifica, in particolare con il governo centrale e la sua componente di maggioranza birmana. In passato la giunta militare ha usato il pugno di ferro contro i più riottosi, fra cui i Kachin nell'omonimo territorio a nord, lungo il confine con la Cina.
Divampata nel giugno 2011 dopo 17 anni di relativa calma, la guerra nello Stato Kachin ha causato decine di vittime civili e almeno 200mila sfollati; nell'agosto scorso i vescovi della regione hanno lanciato un appello per la pace, auspicando una soluzione "duratura" al conflitto.