16/07/2019, 12.59
AFGHANISTAN
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Kabul: la Chiesa cattolica, ‘un’opera continua di carità silenziosa’

di Anna Chiara Filice

Lo dice p. Giuseppe Moretti, rientrato nella capitale afghana per sostituire per il periodo estivo p. Giovanni Scalese, attuale capo della missione cattolica in Afghanistan. Al suo arrivo, ha trovato una situazione “deprimente, con muri eretti ovunque”.

Kabul (AsiaNews) – Quando il mio successore a Kabul “mi ha chiesto se volevo tornare per un mese, il mio cuore scoppiava di gioia. Non avete idea della gratitudine immensa che provo. È un dono della Provvidenza. Ringrazio Dio ogni giorno”. È la gioia espressa da p. Giuseppe Moretti, cappellano all’ambasciata italiana e responsabile della missio sui iuris dell’Afghanistan fino al 2015. Ad AsiaNews racconta il rientro nel Paese, chiamato da p. Giovanni Scalese a sostituirlo nel periodo estivo. Nella capitale afghana ha trovato una situazione “deprimente”. Allo stesso tempo, riporta, “continua la missione della Chiesa, che si manifesta con una presenza di carità silenziosa ma efficiente”.

Il sacerdote mancava dal Paese da quattro anni, quando è rientrato a Italia. Da quel momento vive a Roma, dove guida come superiore la comunità dei Padri barnabiti, “ma con il desiderio incessante di ritornare in Afghanistan”. Qui nel 2005 ha fondato una scuola a Tangi Kalay, un villaggio alla periferia di Kabul sulla strada che porta a Jalalabad, dal nome evocativo “Scuola di pace”. P. Moretti riferisce con entusiasmo che “l’insegnamento nella scuola procede. Di recente abbiamo regalato 250 banchi doppi. Ho anche espresso il mio desiderio di andare a visitare i bambini, ma per ora non ho ricevuto il permesso. Ci sono, giustamente, delle procedure da seguire”.

La prima cosa che lo ha colpito al suo arrivo, racconta, “sono stati i muri: ovunque è un continuo costruire di muri di protezione e difesa, soprattutto nella Zona Verde [l’area fortificata di Kabul riservata agli stranieri]. Rispetto al ricordo che avevo nel 2015, l’immagine della città è davvero deprimente. Ci sono giuste disposizioni che vietano di allontanarsi dall’ambasciata italiana, se non per seri motivi”.

Il suo compito nella capitale afghana, riporta, “è garantire la continuità dell’assistenza spirituale alla comunità internazionale di fedeli”. Il sacerdote si riferisce ai “pochi fedeli, circa una decina di persone che vengono a messa. Ad ogni modo, non si può vivere di nostalgia, quando la chiesa era piena e i fedeli arrivavano fino a fuori. Ovviamente tutto questo è dovuto anche alle misure di sicurezza e all’aumento dei posti di blocco”. La situazione è difficile, ammette, “ma ricordo le parole di mia madre, che nei primi anni qui a Kabul mi diceva: ‘Prendi chi viene e ringrazia Dio’”.

Oltre ai fedeli locali, il cappellano si prende cura dei militari dell’esercito, delle suore di Madre Teresa che “vengono a messa tutti i giorni” e delle suore dell’associazione “Pro bambini di Kabul” (Pbk), formata da religiose provenienti da ogni parte del mondo e appartenenti a varie congregazioni.

Nonostante le difficoltà della realtà del Paese, sottolinea, “la nostra presenza rimane costante. Le suore di Madre Teresa accolgono nella loro casa 14 bambine abbandonate e forniscono assistenza a 240 famiglie povere. Le suore Pbk assistono circa 40 bambini disabili e con varie forme di handicap. Siamo pochi, ma tutto questo è missione”.

Date le rigide disposizioni di sicurezza, p. Moretti si sente come “in una roccaforte, dove si può solo guardare il cielo e contemplare le stelle”. Egli parla del futuro dell’Afghanistan, che definisce “ancora incerto” sebbene i vari tentativi di pace. “È un bene che se ne discuta – evidenza – ma gli orizzonti sono abbastanza lontani. Gli aspetti su cui ci si deve concentrare sono sempre gli stessi: qui si tratta di costruire le basi della democrazia, partire dalla scuola, dal senso di nazione e dalla conoscenza della storia del Paese. La linea guida rimane il rispetto della mentalità, della cultura e delle tradizioni. Non si può pensare di trasferire la democrazia occidentale qui”. Infine conclude con un appello: “Pregate per noi. Dite un Padre Nostro in più per noi”.

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