25/06/2019, 09.00
IRAN - STATI UNITI
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Iraniani, prime vittime nella morsa fra Trump e gli ayatollah

La guerra diplomatica e commerciale in atto fra Teheran e Washington sta mettendo in ginocchio la popolazione. Inflazione e caro vita hanno moltiplicato il prezzo dei beni al consumo. Le persone puntano il dito contro inefficienza e incompetenza dei funzionari governativi. Ma le sanzioni Usa hanno di fatto isolato il Paese. E oggi colpiscono anche la guida suprema Khamenei. 

Teheran (AsiaNews/Agenzie) - La guerra diplomatica e commerciale in atto fra Teheran e Washington, che nei giorni scorsi ha rischiato di trasformarsi in un conflitto, ha già colpito con estrema durezza la popolazione iraniana. Gli 80 milioni di abitanti della Repubblica islamica devono infatti combattere contro svalutazione, inflazione e disoccupazione acuite da un progressivo inasprimento delle sanzioni Usa, che oggi colpiscono anche la guida suprema Ali Khamenei. 

I cittadini iraniani, stretti in questa morsa, puntano il dito contro il proprio governo e il “nemico” statunitense, entrambi responsabili di una escalation sempre più grave. “La guerra economica - sottolinea Shiva Keshavarz, contabile prossima alle nozze - è già una realtà e le persone vivono una condizione di grande pressione”. 

I leader di governo, aggiunge, “continuano a dirci di essere forti e di fronteggiare le pressioni, ma possiamo già sentire il rumore delle ossa che si spezzano”. Una conferma della grave situazioni di crisi arriva dagli uffici di cambio: al tempo dell’accordo nucleare, la moneta locale aveva un tasso di un dollaro contro 32mila rials. Oggi il dato è schizzato verso l’alto, passando a 1 contro 130mila. 

Secondo le statistiche governative, l’inflazione ha superato il 37%. Oltre tre milioni di persone, pari al 12% dei cittadini in età lavorativa, risulta disoccupata. Il dato raddoppia se si prendono in considerazione i giovani con un certo livello di istruzione. 

Inflazione e deprezzamento hanno reso ogni articoli assai costoso, dalla frutta e verdura sui banchi alimentari alle gomme e alla benzina per le auto. Un telefono cellulare di base costa fino a due mesi di stipendio di un dipendente governativo medio; il prezzo di un iPhone è pari a 10 mesi di salario. “Quando le importazioni sono bloccate - afferma Pouria Hassani, rivenditore di telefonia a Teheran - i commercianti devono rivolgersi al mercato nero a un costo assai più elevato”. 

L’opinione comune e sempre più diffusa fra la popolazione è che i problemi siano causati dall’inefficienza e dall’incompetenza dei funzionari governativi. In molti sottolineano le enormi ricchezze in tema di petrolio e gas naturali racchiuse nel sottosuolo. Tuttavia, a causa delle sanzioni Usa e della “massima pressione” esercitata dalla Casa Bianca, per la Repubblica islamica risulta sempre più difficile commerciare con l’estero.

All’origine della tensione, la decisione del presidente Usa Donald Trump nel maggio 2018 di ritirarsi dall’accordo nucleare (Jcpoa) raggiunto a fatica dal predecessore Barack Obama, introducendo le più dure sanzioni della storia. Nel mirino di Washington, che ha rafforzato la presenza militare nell’area, le esportazioni di petrolio della Repubblica islamica.

In questi giorni Washington ha lanciato una serie di nuove sanzioni, che colpiscono direttamente la guida suprema Khamenei e le alte sfere di Teheran. Una decisione che segue l’abbattimento di un drone Usa nel Golfo - in acque internazionali secondo Washington, sul proprio territorio obietta l’Iran - e che ha rischiato di sfociare in un conflitto aperto, con il presidente Usa Trump che ha interrotto all’ultimo una dura risposta militare. 

Questa mattina il portavoce del ministro iraniano degli Esteri Abbas Mousavi ha affermato che “dopo le ultime sanzioni il canale della diplomazia con gli Stati Uniti è chiuso per sempre”. La tensione fra i due Paesi non sembra accennare a diminuire, anche a causa del comportamento contraddittorio del presidente Trump che, da un lato, si dice “impaziente” di rimuovere le sanzioni e, dall’altro, dice di non avere bisogno “dell’approvazione” del Congresso per attaccare. 

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