India, oltre 770 esperti contro la legge sulla cittadinanza che esclude i musulmani
Oggi la Camera bassa ha approvato la norma. L’obiettivo dichiarato è dare rifugio alle minoranze perseguitate indù, buddista, giainista, cristiana, sikh e parsi in Afghanistan, Bangladesh e Pakistan. Per intellettuali e opposizioni, “è molto preoccupante considerare la religione come criterio legale per determinare la cittadinanza indiana”.
New Delhi (AsiaNews/Agenzie) – Almeno 774 note personalità della cultura, della ricerca scientifica e dell’università in India condannano la decisione del governo di Delhi di presentare una nuova legge sulla cittadinanza che esclude in maniera esplicita solo la minoranza musulmana. Per il governo guidato dal Bharatiya Janata Party (Bjp), la norma serve a contrastare l’immigrazione illegale. Per le opposizioni e gli intellettuali, essa crea “discriminazione su base religiosa” tra i cittadini, “inaccettabile secondo la Costituzione”.
Il Citizenship Amendment Bill (Cab) è stato approvato questa mattina nella Lok Sabha (la Camera bassa), dove il Bjp del premier Narendra Modi detiene la maggioranza assoluta. La norma è attesa per domani nella Rajya Sabha (la Camera alta), il partito di governo ha i numeri per negoziare con i partiti indipendenti.
Il Cab vuole modificare la normativa sulla cittadinanza risalente al 1955 in modo da includere indù, buddisti, giainisti, cristiani, sikh e parsi che “subiscono persecuzioni” in tre Paesi confinanti: Afghanistan, Bangladesh e Pakistan. Per poter presentare domanda di cittadinanza o naturalizzazione, i sei gruppi devono poter dimostrare di risiedere in India da almeno sei anni, contro gli 11 previsti in precedenza.
Nel gruppo di esperti indiani che contesta la legge figurano i direttori di tre centri di ricerca più quotati a livello mondiale: Sandip Trivedi del Tata Institute of Fundamental Research di Mumbai, Rajesh Gopakumar dell’International Centre for Theoretical Sciences di Bangalore e Atish Dabholkar del Centro internazionale di fisica teorica di Trieste. I ricercatori plaudono “all’intento della legge di garantire rifugio alle minoranze perseguitate dai Paesi confinanti”. Al tempo stesso, ritengono “molto preoccupante che la legge usi la religione come criterio legale per determinare la cittadinanza indiana”.
Secondo gli esperti, la legge “viola lo spirito” della Costituzione, che all’articolo 14 “proibisce allo Stato di negare l’uguaglianza di ogni persona davanti alla legge o l’equa protezione delle leggi nel territorio indiano”. “Temiamo – aggiungono – che l’esclusione precisa dei musulmani dallo scopo della legge possa danneggiare il tessuto pluralistico del Paese”. Infine essi ricordano: “L’idea di India emersa dal movimento per l’indipendenza, è quella di un Paese che ambisce a trattare le persone di tutte le fedi in maniera uguale”.
Alla notizia della presentazione in aula della legge, aspre proteste si sono levate in diversi Stati indiani, in particolare in Assam, dove ad agosto circa due milioni di persone sono state escluse dal Registro dei cittadini. In quel caso, essi dovevano dimostrare di risiedere in India dal 24 marzo 1971, cioè dal giorno prima che il Bangladesh dichiarasse l’indipendenza. Anche in quell’occasione il governo locale guidato dal Bjp sosteneva che l’obiettivo era contrastare le immigrazioni illegali, ma per gli esclusi – in maggioranza musulmani – lo scopo è diminuire la composizione etnico-religiosa islamica della cittadinanza per evitare una crisi simile a quella dei Rohingya.
20/12/2019 09:06
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