Il governo pakistano reintroduce la pena di morte "per tutti i reati"
Islamabad (AsiaNews/Agenzie) - Il governo pakistano ha cancellato la moratoria sulla pena di morte in tutti i casi in cui è stata comminata la condanna capitale, dopo aver ripreso le esecuzioni per i reati legati al terrorismo. La decisione di Islamabad di riprendere le esecuzioni è giunta all'indomani dell'attacco talebano alla scuola militare di Peshawar, un'azione brutale che ha causato la morte di quasi 150 fra studenti e insegnanti. Il ministero degli Interni ha dato indicazione alle amministrazioni provinciali di "procedere con le impiccagioni" di detenuti che hanno completato l'iter processuale, vedendosi respingere tutte le richieste di appello o clemenza.
Ad oggi sono almeno 8mila i detenuti nel braccio della morte nella nazione dell'Asia del sud, che aspettano l'esecuzione della sentenza dopo una moratoria durata almeno sette anni. Di questi circa mille hanno visto la loro domanda di grazia respinta dal presidente, ultimo passo prima dell'esecuzione della condanna.
Dal dicembre scorso, da quando sono riprese le esecuzioni, il Pakistan ha impiccato 24 persone, tre delle quali non erano state condannate per terrorismo.
Attivisti e organizzazioni pro diritti umani parlano di "vergognosa corsa al patibolo" avviata da Islamabad, che "non risolverà certo i problemi di sicurezza e ordine pubblico" che affliggono da tempo il Pakistan.
Tra le migliaia di persone rinchiuse nel braccio della morte vi sono diverse donne e, fra queste, anche la madre cristiana Asia Bibi, condannata a morte per blasfemia e la cui vicenda ha sollevato sdegno e mobilitazione internazionale.
Lo scorso anno il segretario generale Onu Ban Ki-moon ha rivolto un appello al governo pakistano, perché reintroduca la moratoria sulla pena di morte, che è prevista anche per i reati di adulterio, apostasia e blasfemia secondo i dettami della sharia, la legge islamica. Gruppi attivisti puntano da tempo il dito contro il sistema giudiziario pakistano, costellato di processi farsa, torture della polizia per estorcere confessioni, mancanza del diritto di difesa.
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