Il Parlamento tibetano in esilio non accetta le “dimissioni” del Dalai Lama
Dharamsala (AsiaNews) – Il Parlamento tibetano in esilio ieri ha chiesto quasi all’unanimità al Dalai Lama di riconsiderare la decisione di rinunciare al ruolo di capo politico dei tibetani. Samdhong Rinpoche, premier del governo in esilio, in un’intervista esclusiva ad AsiaNews spiega il significato della decisione.
Il Dalai Lama il 10 marzo ha annunciato la decisione di rinunciare al suo ruolo politico, volendo restare solo leader spirituale dei buddisti tibetani. Il 14 marzo ha sottoposta la questione al Parlamento in esilio, che deve fare un emendamento costituzionale per togliere il ruolo di leader politico al Dalai Lama e attribuire maggiori poteri al Parlamento stesso e al governo in esilio. Tra le ragioni della decisione del Dalai Lama, c’è la volontà di favorire il dialogo con Pechino, che lo accusa di essere un terrorista divisionista e rifiuta di parlare con lui, e la volontà che i leader siano scelti con votazioni democratiche.
Rinpoche ha spiegato ad AsiaNews che la decisione del Parlamento sarà ora presentata al Dalai Lama. “Il Parlamento tibetano – dice – è attento alla volontà della popolazione e la popolazione non vuole perdere la leadership del Dalai Lama. La riteniamo davvero importante”.
“La Questione Tibetana e il Dalai Lama sono diventati quasi sinonimi, e l’unico volto del movimento tibetano è il Dalai Lama, e ci vorrà davvero tanto tempo per costruire una nuova immagine o una nuova faccia. Io capisco che per ogni novità all’inizio ci sono molti ostacoli, ma il governo tibetano non accetterà la rinuncia del Dalai Lama”.
Ora ci si chiede cosa farà il Dalai Lama. Ieri, parlando a una conferenza stampa, egli ha già confermato che è deciso a lasciare il suo ruolo politico, nonostante la richiesta del Parlamento.
“Occorre vedere – conferma Rinpoche – se Sua Santità il Dalai Lama prenderà in considerazione la richiesta del Parlamento”. “Un suo ‘ripensamento’ non sarebbe contrario ai principi del buddismo tibetano, perché sarebbe solo rispettare i desideri della popolazione, sarebbe per il bene della popolazione”.
Alla domanda se questa rinuncia può essere interpretata come conferma di alcune accuse del governo cinese, che lo considera un terrorista, Rinpoche risponde che “noi non ci curiamo di cosa dice la Cina, di quello che fa, loro dicono qualsiasi cosa”.
“Ai lettori di AsiaNews dico: cercate di capire le difficoltà del popolo tibetano, i tibetani considerano in modo problematico e preoccupato la decisione di Sua Santità. Siate simpatetici [con noi] e con la causa tibetana”.
Intanto ieri migliaia di tibetani hanno partecipato alla cremazione del monaco Phuntsok (nella foto), del monastero di Kirti nella contea di Ngaba (Sichuan), datosi fuoco il 16 marzo per protesta contro la repressione e l’occupazione cinese. Le autorità cinesi hanno restituito il corpo alla famiglia il 17 marzo nel pomeriggio, ordinando che fosse cremato entro il giorno dopo. Il corpo è sfilato su un autoveicolo seguito da migliaia di monaci, suore e tibetani, sorvegliati da soldati armati.
28/12/2017 10:57
01/12/2018 10:38
16/11/2018 11:50