Hu Jia: “La prigione mi ha liberato dall’odio. Il governo, invece, è schiavo”
Dopo tre anni e mezzo di galera per “incitamento alla sovversione contro la sovranità dello Stato”, il noto dissidente spiega: “Prima odiavo i miei persecutori. Ora no, perché io sono un uomo libero mentre loro sono schiavi”. Racconti anche della prigionia: “Legato e imbavagliato, è stato terribile”.
Pechino (AsiaNews) – Dopo tre anni e mezzo di prigione, Hu Jia è “un uomo libero. Le guardie che mi perseguitano, no. Non le odio più, non odio più questo governo: la prigionia mi ha fatto capire come stanno le cose e per loro provo soltanto pena. Io posso esercitare la libertà di pensiero e posso scegliere di non fare cose cattive: loro sono forzati a farle”. Condannato per “aver incitato la sovversione contro la sovranità dello Stato”, il noto dissidente Hu Jia parla con il South China Morning Post e racconta come la galera lo abbia trasformato in una persona migliore.
Il dissidente, 37 anni e fedele buddista, è noto in tutto il Paese per le sue battaglie contro la diffusione dell’Aids e contro gli espropri forzati. Fra le sue “colpe” vi sono l’aver dato interviste a media stranieri; aver tenuto i collegamenti con attivisti e dissidenti; aver difeso il rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa. Malato di epatite B, è stato scarcerato lo scorso 26 giugno: da allora, un convoglio di macchine della polizia e di agenti lo segue dovunque.
Prima del suo arresto, racconta, “ero solito avere accesi diverbi con i poliziotti. A volte divenivano anche violenti. Oggi non direi più quelle cose: il mio odio del passato è divenuto pietà. Quelle persone ci costringono a vivere in un inferno, ma pensate che loro vivano in Paradiso? Ora sono una persona libera, loro no. Almeno posso pensare in maniera libera, e posso decidere di non fare cose cattive. Loro, no”.
Hu racconta anche della sua prigionia: la maggior parte del tempo, è stato trattato con rispetto dalla polizia e dalle guardie carcerarie. Ma ci sono stati anche momenti terribili: dopo aver litigato con una guardia, è stato messo in isolamento per 9 giorni, con le manette e bendato. “Pensavo che cose del genere accadessero soltanto nei film, invece è successo anche a me dozzine di volte. Sono stato portato ammanettato persino in ospedale: la gente ti guarda e pensa di avere davanti un assassino”.
Come molti altri dissidenti, fra cui Wei Jingsheng, anche Hu attacca il sistema penale e giudiziario cinese: “Ho detto alle mie guardie che ‘incitare alla sovversione’ non può essere un crimine, perché è un’accusa che va contro la libertà di parola della popolazione. Ho loro spiegato che è una legge da abolire, una spada di Damocle sulla testa di tutti noi. Pensavano che esagerassi, ma la richiesta di libertà di parola diventa sempre maggiore in Cina. So di non essere solo”.
Il dissidente, 37 anni e fedele buddista, è noto in tutto il Paese per le sue battaglie contro la diffusione dell’Aids e contro gli espropri forzati. Fra le sue “colpe” vi sono l’aver dato interviste a media stranieri; aver tenuto i collegamenti con attivisti e dissidenti; aver difeso il rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa. Malato di epatite B, è stato scarcerato lo scorso 26 giugno: da allora, un convoglio di macchine della polizia e di agenti lo segue dovunque.
Prima del suo arresto, racconta, “ero solito avere accesi diverbi con i poliziotti. A volte divenivano anche violenti. Oggi non direi più quelle cose: il mio odio del passato è divenuto pietà. Quelle persone ci costringono a vivere in un inferno, ma pensate che loro vivano in Paradiso? Ora sono una persona libera, loro no. Almeno posso pensare in maniera libera, e posso decidere di non fare cose cattive. Loro, no”.
Hu racconta anche della sua prigionia: la maggior parte del tempo, è stato trattato con rispetto dalla polizia e dalle guardie carcerarie. Ma ci sono stati anche momenti terribili: dopo aver litigato con una guardia, è stato messo in isolamento per 9 giorni, con le manette e bendato. “Pensavo che cose del genere accadessero soltanto nei film, invece è successo anche a me dozzine di volte. Sono stato portato ammanettato persino in ospedale: la gente ti guarda e pensa di avere davanti un assassino”.
Come molti altri dissidenti, fra cui Wei Jingsheng, anche Hu attacca il sistema penale e giudiziario cinese: “Ho detto alle mie guardie che ‘incitare alla sovversione’ non può essere un crimine, perché è un’accusa che va contro la libertà di parola della popolazione. Ho loro spiegato che è una legge da abolire, una spada di Damocle sulla testa di tutti noi. Pensavano che esagerassi, ma la richiesta di libertà di parola diventa sempre maggiore in Cina. So di non essere solo”.
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