Guangdong e Yunnan annunciano l’abolizione dei campi di lavoro forzato (laojiao)
Pechino (AsiaNews) - Tutte le forme di detenzione illegale che esistono in Cina "potranno essere abolite soltanto quando il governo deciderà di abbracciare davvero lo stato di diritto. Non bastano le dichiarazioni dei funzionari comunisti, per quanto possano essere alti in grado: serve una vera presa di coscienza e un sistema giuridico adeguato". È la risposta del Chinese Human Rights Defender [Chrd, organismo internazionale di tutela e denuncia delle violazioni ai diritti umani in Cina] alle due province cinesi che ieri hanno annunciato l'abolizione della rieducazione tramite il lavoro (laojiao).
I laojiao sono una forma di prigionia che esiste dai tempi di Mao Zedong. Ad esso sono condannanti molto spesso cristiani, dissidenti, membri del falun Gong. Il China Daily, giornale statale, dice che vi sono circa 320 campi di lavoro per il laojiao, dove sono rinchiusi 500mila persone, in maggioranza criminali del mondo della droga. Nei campi di lavoro - organizzate come fattorie o industrie - i prigionieri hanno orari di lavoro massacranti, fino a 12-15 ore e prendono una minima paga mensile.
Il nuovo regime comunista - guidato da Xi Jinping, leader della "Quinta generazione" di dirigenti cinesi - aveva espresso un mese fa l'intenzione di rivedere questo sistema che, in pratica, è una condanna ai lavori forzati fino a 3 anni che può essere comminata anche senza la sentenza di un giudice. L'ultimo in ordine di tempo era stato Chen Jiping, vice direttore della China Law Society, che il 20 gennaio scorso ha parlato di un incontro di alto livello che "ha deciso di limitare l'uso dei campi di lavoro" fino a quando non si riunirà l'Assemblea nazionale del popolo (Anp, il "Parlamento" cinese), l'unico organismo in grado di abolire del tutto il sistema dei laojiao.
Prima di lui si erano espressi sulla questione dei "lager di Stato" Meng Jianzhu, segretario del Comitato per gli affari politici e legali del Partito comunista cinese, e un editoriale aperto del Quotidiano del Popolo. Entrambi gli annunci, però, sono stati poi smentiti da altri funzionari che avevano chiarito: in ballo c'è una "riforma" del sistema, non la sua abolizione. Dopo questo balletto, durato circa 3 settimane, ieri il Southern Metropolitan Daily ha annunciato che la provincia dello Yunnan ha invece deciso di abolire il sistema "da subito".
Il quotidiano (vicino alla linea del Partito) cita Meng Sutie - membro della Commissione permanente del Pcc provinciale e capo della Commissione per la legge e la politica dello Yunnan - che definisce la decisione "un passo di portata storica" nella riforma del laojiao. Lo stesso articolo include il direttore del Dipartimento politico della ricca provincia meridionale del Guangdong, Yan Zhican, che annuncia una manovra simile.
Secondo Meng "le autorità provinciali non approveranno più la rieducazione tramite il lavoro per coloro che si macchiano di 3 tipi di crimini: messa in pericolo della sicurezza statale; attività negligente di petizioni e offesa ai leader statali. Per tutti gli altri casi ci comporteremo secondo la legge". Aver citato questi tre crimini non è casuale: sono infatti le motivazioni più frequenti con cui le autorità comuniste si liberano di coloro che cercano di ottenere giustizia tramite il sistema delle petizioni al governo centrale.
Nel Guangdong invece, secondo Yan, "i campi di lavoro non custodiranno più nuovi detenuti. Quelli al momento internati rimarranno fino alla fine della pena, ma alla fine i campi saranno usati per il trattamento dei drogati e per la riabilitazione sociale".
Secondo Renee Xia, direttore internazionale del Chrd, "è troppo presto per festeggiare. Nel balletto di annunci e smentite è stato censurato persino un membro del governo centrale, e questo vuol dire che è in corso un conflitto interno sul destino dei campi di lavoro e del sistema del laojiao. Se la Cina vuole davvero mettersi al passo con la giurisprudenza internazionale deve applicare un vero stato di diritto. Solo così saranno sanate tutte le violazioni ai diritti umani che avvengono in nome delle detenzioni preventive".