Faisalabad, centinaia di "nastri bianchi" in piazza contro la violenza sulle donne
Faisalabad (AsiaNews) - Il governo deve approvare "nuove leggi" a tutela delle donne, in particolare nei casi di "violenza domestica" o per gli abusi commessi dalla "macchina dello Stato", come avviene in carcere quando sono i rappresentanti delle istituzioni a macchiarsi dei peggiori crimini. È quanto hanno chiesto i manifestanti che hanno aderito alla "Campagna del nastro bianco", che si è tenuta lo scorso 6 marzo davanti al Circolo della stampa di Faisalabad, nel Punjab. Una iniziativa intitolata "Tempo di agire per mettere fine alla violenza contro le donne", indetta a due giorni di distanza dalla Festa internazionale della donna, che si celebra in tutto il mondo domani 8 marzo. Centinaia di persone, provenienti da comunità diverse del Pakistan, così come da differenti estrazioni sociali e confessionali, hanno voluto rispondere all'appello lanciato dagli attivisti di Peace and Human Development (Phd Foundation), Association of Women for Awareness & Motivation (Awam) e Adara Samaji Behbood (ASB), realtà da sempre in prima fila nella tutela dei diritti umani.
I dimostranti indossavano "nastri bianchi", come simbolo della ribellione alla violenza contro le donne. Molti i canti e gli slogan contro gli abusi verso l'universo rosa, che si ripetono con troppa frequenza in tutto il Paese. Le persone in piazza hanno chiesto all'esecutivo e al Parlamento di prendere "misure concrete". Nel mirino anche le discriminazioni basate sul genere e tutte le diverse forme di violenza - fisica, sessuale, emozionale, economica - che si verificano in famiglia, il più delle volte in un clima di totale omertà.
Suneel Malik, direttore di Phd Foundation, sottolinea che la campagna intende sensibilizzare soprattutto gli uomini, chiamati a sradicare ogni forma di violenza sulle donne. È una violazione gravissima ai diritti umani, aggiunge, ma che troppo spesso e con grande dispiacere "viene accettata senza battere ciglio" ed è anche per questo che molte vicende "non emergono" e passano sotto silenzio. Vengono considerate "parte integrante della cultura", conclude l'attivista, e del "destino delle donne" anche a causa dell'inerzia dello Stato. Gli fa eco Nazia Sardar, direttore di Awam, secondo cui in Pakistan i casi di prevenzione e repressione degli abusi sono più problematici, perché non vi è un monitoraggio costante ed efficiente. Per questo il governo è chiamato ad attuare un "sistema migliore" di controllo, vegliando sull'applicazione delle normative in materia.
L'attivista per i diritti femminili Shazia George punta il dito contro "il sistema patriarcale", che impedisce alle vittime persino di denunciare i carnefici. Naseem Anthony ricorda invece il "doppio sistema" giuridico che, nel caso della legge tribale di matrice islamica, non concede sufficienti diritti e possibilità di tutela per le donne. Il presidente di National Minority Alliance-Pakistan (Nmap) Robin Daniel lancia gravi accuse contro le forze dell'ordine, preposte in teoria alla tutela dei cittadini ma che "in alcuni casi" sono esse stesse coinvolte in vicende di violenze, soprattutto "in carcere e nei centri di accoglienza". Il presidente Asb Irshad Parkash evoca un "bisogno urgente di riforme" anche nel comparto del lavoro, mentre l'attivista ed educatore Khadim Patras rivolge un pensiero al mondo femminile appartenente alle minoranze religiose, due volte vittima per genere e credo religioso: sequestri, matrimoni e conversioni forzate all'islam si ripetono nell'impotenza delle famiglie di origine e nell'indifferenza delle istituzioni.
Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%).