18/10/2016, 09.00
IRAQ
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Esercito e Peshmerga avanzano verso Mosul. Timori Onu: civili usati come scudi umani

Prosegue l’offensiva per strappare la metropoli del nord dell’Iraq allo Stato islamico. Le milizie curde hanno assunto il controllo di alcuni villaggi della piana di Ninive. Per il Pentagono “servirà tempo” per la conquista della città. Allarme Ue: i jihdisti in fuga potrebbero ripiegare verso le coste dell’Europa.

Baghdad (AsiaNews/Agenzie) - Al secondo giorno di offensiva, l’esercito e le forze di sicurezza irakene stanno avanzando “prima del previsto” verso Mosul, città simbolo del “Califfato” in Iraq, ricca di petrolio e seconda per importanza del Paese. Ad affermarlo sono fonti del Pentagono, le quali avvertono che “servirà però del tempo” prima di strappare la metropoli del nord dell’Iraq allo Stato islamico (SI). Il portavoce Peter Cook avverte che bisogna ancora verificare la resistenza che verrà opposta dai jihadisti. 

Nella notte sono continuati i combattimenti; i miliziani di Daesh [acronimo arabo per lo SI] hanno lanciato a più riprese attacchi contro uomini e mezzi dell’esercito irakeno. Al momento il fronte della battaglia si trova circa 15 km a sud della città, dal giugno del 2014 sotto il controllo jihadista. 

Nella prima mattinata di ieri una coalizione composta da 30mila uomini, fra soldati irakeni e milizie Peshmerga curde, cui si uniscono forze tribali sunnite, hanno iniziato l’offensiva per la cattura della più importante roccaforte jihadista in Iraq.

Fonti locali riferiscono che vi sarebbero ancora fra i 4mila e gli 8mila jihadisti in città. 

I Peshmerga curdi hanno già assunto il controllo di diversi villaggi della piana di Ninive - alcuni dei quali un tempo a maggioranza cristiana - che circondano Mosul. Essi hanno inoltre conquistato un altro tratto della strada che collega Mosul a Erbil, capitale del Kurdistan irakeno. 

L’offensiva militare curdo-irakena è sostenuta a livello operativo e di intelligence dai vertici dell’esercito Usa; Washington segue da vicino le operazioni in Iraq, dove cerca un riscatto per bilanciare gli insuccessi sul fronte - militare e diplomatico - siriano. 

A fronte dell’avanzata della coalizione anti-Isis aumentano le preoccupazioni per la sorte dei civili intrappolati a Mosul, dove vivono circa 1,5 milioni di abitanti. Le Nazioni Unite lanciano l’allarme circa il possibile uso dei civili come scudi umani. Gli esperti Onu avvertono inoltre del pericolo di “un attacco jihadista con armi chimiche”.

La coordinatrice umanitaria Onu in Iraq, Lisa Grande, è convinta si possa trattare "del peggiore scenario possibile" che però le forze irachene considerano improbabile. Si tratta di una eventualità legata all’uso avvenuto già in passato di “gas mostarda” da parte di Daesh in Iraq.

Stephen O’Brien, sotto-segretario Onu per gli Affari umanitari, si dice “estremamente preoccupato” per la sorte degli abitanti di Mosul e per le “conseguenze” dell’offensiva militare. Il timore è che la popolazione possa rimanere “intrappolata” nei combattimenti e che i civili siano usati dai jihadisti per proteggersi dagli attacchi dell’esercito irakeno.

Fino a un milione di persone, avverte l’esperto delle Nazioni Unite, potrebbero dover abbandonare a forza le loro case. E la maggior parte di loro, come è già successo a cristiani e yaziti nell’estate del 2014, in concomitanza con l’ascesa dello SI, finirebbero per fuggire “con i soli vestiti indosso”. 

Da qui l’appello dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, che chiede altri 61 milioni di dollari per allestire tende, centri di accoglienza, coperte e oggetti per l’inverno, fondamentali per affrontare l’arrivo della stagione fredda.

La conquista di Mosul non cancellerà però la presenza dello Stato islamico in Iraq, perché i jihadisti controllano ancora oggi parte dei territori nel nord e nell’est del Paese. Inoltre, secondo alcune fonti l’offensiva potrebbe innescare una fuga in massa dei jihadisti verso i confini dell’Europa. A lanciare l’allarme è il Commissario Ue per la sicurezza Julian King, secondo cui “anche un quantitativo minimo [di jihadisti] rappresenta una seria minaccia”, davanti alla quale “dobbiamo farci trovare preparati”. 

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