28/09/2021, 12.59
AFGHANISTAN
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Emergenza alimentare, la grande sfida di oggi a Kabul

di Alessandra De Poli

Dalla capitale afghana il racconto di Fabrizio Cesaretti, vice-direttore locale della Fao. "L'agricoltura era già in ginocchio per il secondo anno consecutivo di siccità, una persona su tre a grave rischio fame. Decisiva sarà la semina di ottobre e novembre. Con la fine della guerra raggiungiamo aree prima inaccessibili, ma si sono fermati tutti i progetti per l'adattamento al cambiamento climatico che qui mostra già pesantemente i suoi effetti".

Kabul (AsiaNews)- “I dati della Fao e del World Food Programme già ad aprile di quest’anno mostravano che 1 afghano su 3 si trova in una situazione di crisi o di emergenza in termini di sicurezza alimentare. Per questo oggi è ancora più essenziale non lasciar sprofondare il Paese nella carestia”. Dalla Kabul ritornata in mano ai talebani racconta la difficile sfida umanitaria di queste settimane Fabrizio Cesaretti, vice direttore della Fao e capo dei programmi di emergenza e resilienza in Afghanistan.

Si trova nella capitale afghana dal marzo 2019, ma quando i talebani hanno riconquistato Kabul si trovava in Italia. Tornato con il primo volo delle Nazioni unite da Islamabad, racconta ad AsiaNews i programmi d’emergenza che la Fao sta mettendo in campo per impedire che il livello di insicurezza alimentare aumenti ancora.

“I problemi esistono da decenni - spiega Cesaretti -. Il conflitto li ha aggravati con gli spostamenti di popolazione, sia all’interno che all’esterno del Paese”. Tra il 2018 e il 2021 la crisi alimentare si è acuita a causa della siccità, provocata da la Niña, l’oscillazione delle temperature dell’Oceano Pacifico che influenza il clima dell’intero pianeta. “In Afghanistan provoca una riduzione delle piogge durante l’inverno. Tra il 2017/18 si sono contati almeno 300mila profughi a seguito della crisi alimentare”, perché se i campi agricoli non rendono, la gente vende il bestiame che non riesce a nutrire e migra verso le città. La situazione si è ripetuta quest’anno. “Nella stagione 2020/21 la riduzione delle precipitazioni è arrivata fino al 40-50% e ci sono province che non hanno più acqua nei bacini di irrigazione, soprattutto nell'ovest e nel sud del Paese”.

La Fao offre sostegno alla produzione agricola e si assicura che le popolazioni rurali non perdano i mezzi di produzione. “Per far fronte alla grave situazione - spiega il vice-direttore della Fao a Kabul - la popolazione ha già ridotto il reddito alimentare e il bestiame. Stiamo sostenendo la campagna di produzione del grano, perché la semina per la prossima stagione è tra ottobre e novembre. Distribuiamo sementi migliorate, fertilizzanti, e attraverso i partner locali forniamo assistenza tecnica. Con un kit che in totale costa 150 dollari, una famiglia ottiene un raccolto di grano di quasi 600 euro che basta a sfamarla per un anno e riduce il carico di aiuti alimentari di cui ci sarà bisogno nei prossimi mesi”.

Due inverni consecutivi così aridi sono il sintomo della gravità dei cambiamenti climatici. “Non solo la frequenza e l’intensità stanno aumentando, ma nei periodi intermedi le risorse naturali non hanno più il tempo per recuperare”. La Fao aveva una serie di programmi di adattamento, ma al momento sono sospesi, perché tutti i programmi di sviluppo erano in partnership con il governo afghano.

Finché la situazione politica non si assesta, continua il cooperante italiano, “c’è grande incertezza” nel Paese, nonostante i talebani abbiano espresso la volontà di mantenere la presenza delle ong nel Paese. Paradossalmente “da quando sono finiti i combattimenti abbiamo accesso ad aree rurali che prima non raggiungevamo, un fatto per noi estremamente importante. Molte strade sono state riaperte e almeno questo è un segnale positivo. Possiamo compiere valutazioni più accurate e senza gli scontri sono diminuiti i rischi di sicurezza anche per i beneficiari”.

Non manca la valutazione del fattore culturale nella distribuzione degli aiuti. In Afghanistan esistono tribù nomadi e altre semi-nomadi. “A quanti migrano forniamo bestiame e trattamenti di base per gli animali. A quelli che trascorrono periodi di sedentarietà distribuiamo anche semi per le colture foraggere”. Diverso è l’intervento nei confronti delle donne, che si occupano soprattutto dell’allevamento del pollame e della coltivazione di verdure. “Quando le donne riescono ad avere un reddito autoprodotto riescono ad avere più voce in capitolo e riescono a sfamare meglio i figli in un Paese dove il pane è alla base della dieta”.

Ma il problema più grande ora è la mancanza di liquidità di denaro. “Da qualche mese i dipendenti pubblici non vengono pagati, le persone non riescono a prelevare più di 200 dollari a settimana in valuta locale. Le ong partner della Fao non riescono a pagare i loro dipendenti e anche tutti i trasferimenti di denaro sono bloccati. Al momento non riusciamo nemmeno a dare i soldi ai beneficiari”.

Per il lungo periodo servirà una soluzione più strutturata, ma al momento gli afghani si stanno rifugiando nella pratica della hawala, un sistema islamico di trasferimento di denaro e beni da una persona all’altra basato sulla parola d’onore. “Era utilizzata in passato quando il sistema bancario locale aveva grosse limitazioni e ora vedo che la popolazione sta ricominciando a usarlo”, commenta Cesaretti. Che sottolinea però anche la grande capacità di resilienza del popolo afghano: “Sono in giro per il mondo dal 1995 e non mi sono mai trovato così bene con un team internazionale. Oltre ad essere dei grandi lavoratori, gli afghani hanno una grande volontà di risolvere i problemi del loro Paese”.

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