30/11/2017, 09.52
BANGLADESH – VATICANO
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Dhaka, p. Kamal: testimonio Cristo con il servizio alla popolazione

Il sacerdote è il parroco della chiesa dell’Holy Rosary, nel quartiere di Tejgaon. Spiega cosa vuol dire essere un sacerdote in un Paese a maggioranza islamica. “Le persone ci conoscono per il nostro lavoro amorevole”. “Ci sentiamo parte della Chiesa universale seguendo le indicazioni del Santo Padre”. Dall’inviato.

Dhaka (AsiaNews) – Papa Francesco “ha scelto di visitare la chiesa dell’Holy Rosary Church per un motivo ben preciso: qui sono sepolti tanti leader civili e cristiani. In questo modo, anche se non potrà recarsi in tutto il Paese, egli vuole pregare e mostrare la sua vicinanza a tutta la popolazione”. Lo dice ad AsiaNews p. Kamal Corraya, il parroco. Dalle sue parole trapela grande emozione per “la gioia di averlo qui”. Egli avverte anche una grande responsabilità: accoglierlo in quella che è considerata “la chiesa dei primati” del Bangladesh, l’unica dove il papa si raccoglierà in preghiera. Verrà qui il 2 dicembre. “Nel 1986 - racconta con commozione il sacerdote - ho avuto l’onore di lavare le mani di Giovanni Paolo II. Avrò un’altra opportunità, quella di toccare papa Francesco e accoglierlo nella mia chiesa”.

La chiesa del Santo Rosario si trova a Dhaka, nel quartiere di Tejgaon a grande presenza cattolica. Nella zona ci sono numerose scuole gestite da congregazioni religiose, ostelli, e anche una delle case delle suore di Madre Teresa. P. Kamal spiega i motivi del primato. “È la chiesa più antica del Bangladesh, la più grande parrocchia della capitale con più di 25mila fedeli e quella che svolge il maggior numero di servizi di preghiera: ogni domenica celebriamo 20 messe, non solo nella nostra chiesa, ma anche in varie cappelle o sotto-centri sparsi per la città (come Banani o l’aeroporto). Le preghiere sono recitate in bengalese, ma abbiamo anche dei servizi per gli stranieri.”

Il sacerdote aggiunge che la chiesa “possiede anche un grande valore storico”. L’edificio originario – ancora presente – risale al 1677 e ha subito numerosi restauri delle parti ornamentali. È stato costruito dai missionari portoghesi agostiniani, che qui hanno eretto anche uno dei due cimiteri cattolici della città. All’interno della chiesetta sono ancora visibili le lapidi più antiche con scritte in armeno, portoghese e latino. La nuova costruzione è stata eretta negli anni ’40 e si trova di fianco a quella precedente.

La caratteristica che ha spinto papa Francesco a scegliere questo luogo per incontrare i religiosi del Paese, spiega p. Kamal, “è la presenza del cimitero. Esso è un monumento storico. Qui sono sepolti i primi missionari, sacerdoti e suore. Venendo a pregare sulle tombe dei missionari, è come se egli ci invitasse tutti ad essere missionari. E vuole mostrarci che è qui per tutti. Dato che non si potrà recare di persona in tutto il territorio, egli benedirà un cimitero dove riposano persone comuni, per benedire tutti in modo simbolico. Vuole benedire i missionari ed essere vicino con la preghiera, in maniera fisica e spirituale, ai consacrati del Bangladesh”.

Non solo, anche tanti musulmani non vedono l’ora di incontrarlo, “compresi i nostri collaboratori, circa il 90% dei dipendenti, che stanno lavorando anche durante la notte per far in modo che sia tutto pronto, verniciando vasi, lustrando il vialetto di accesso e preparando i fiori per la chiesa”.

Ma cosa vuol dire essere sacerdote in un Paese musulmano. “Viviamo come membri di una stessa famiglia. – risponde padre Kamal – Se i musulmani o gli indù hanno bisogno di aiuto, noi cristiani siamo i primi a darglielo. Lo stesso vale nei nostri confronti”. “Il modo migliore per testimoniare il Vangelo è attraverso il servizio, negli ospedali, con le istituzioni o le missioni umanitarie”.

P. Kamal ricorda che nel 1971, durante la guerra di liberazione dal Pakistan, “tanti musulmani hanno trovato rifugio nelle nostre chiese. Questo ha permesso la creazione di rapporti di amicizia e affetto. Ancora oggi ci sentiamo con coloro che sono stati accolti in quel periodo”. Egli non nega l’esistenza di conflitti e tensioni, “ma è così anche nei rapporti tra cristiani. Ci sono dei dissidi, ma in linea di massima viviamo in maniera serena e siamo contenti di essere qui in Bangladesh”. Secondo il parroco, “i cristiani sono davvero rispettati. Il 90% di coloro che lavorano nei nostri media center sono musulmani. Ci sostengono in modo concreto”.

Sulla vita della sua parrocchia, egli riferisce che “è frequentata da più di 25mila fedeli, in maggioranza provenienti da villaggi rurali che a Dhaka cercano nuove opportunità di vita. Ogni anno celebriamo circa 100-130 battesimi, che si svolgono ogni venerdì”. Il parroco spiega che i battesimi non avvengono durante “alcune festività particolari come il Natale o la Pasqua. Il venerdì è il giorno di festa e riposo nel nostro Paese a maggioranza musulmana, perciò i fedeli ne approfittano per venire in chiesa. Per esempio la settimana scorsa abbiamo accolto nella comunità nove cristiani”.

Parlando della testimonianza del Vangelo, afferma: “Siamo presenti tra i non cristiani attraverso il nostro servizio. Non siamo tanti in questo Paese [circa 600mila, di cui 380mila cattolici, cioè lo 0,3% della popolazione composta da quasi 163 milioni di abitanti – ndr], ma la maggior parte della gente ci conosce per il nostro servizio. Hanno davvero una buona opinione di noi perché vedono che siamo qui per servirli. Abbiamo infermiere negli ospedali, operatori in varie associazioni. E lavoriamo bene. Ogni volta che qualcuno svolge bene il suo lavoro, gli viene domandato: ‘Sei cristiano?’. Ciò significa che nel Paese è risaputo che i cristiani operano nel migliore dei modi”.

L’esempio dei cristiani, continua, “a volte porta a delle conversioni, perché la gente vuole essere come noi. Sono interessati dal fatto che aiutiamo i bambini, i poveri, gli emarginati. A volte succede che le conversioni creino disturbo ai radicali più estremisti, che sono davvero delle piccole frange. Ma in generale se si vive in maniera pacifica e serena, nessuno si lamenta”.

A questo punto racconta la storia di un musulmano, “che ha visto in televisione una ragazza cattolica che doveva subire un’operazione molto delicata al cuore. Lei era in ospedale e i giornali parlavano di lei. Il ragazzo è rimasto talmente impressionato che ha deciso di andare a trovarla in ospedale. Lì ha visto che la giovane era supportata da tutta la comunità, che le stava accanto dal punto di vista fisico e spirituale. E la sua vita è cambiata, ha voluto convertirsi. La sua famiglia era contraria, non voleva, perché in Bangladesh si crede che chi cambia il proprio credo produce sventura per tutti i parenti. Anche gli amici lo hanno abbandonato. Ma lui non poteva tornare indietro: aveva visto il servizio, l’amore, l’atteggiamento umano nei confronti di un essere vivente”.

Secondo p. Kamal, per una Chiesa piccola come quella bengalese, una delle periferie di cui parla tanto papa Francesco, “il modo per sentirsi parte della Chiesa universale è seguire le indicazioni del Santo Padre. Questo ci fa sentire vicini, membri di una stessa famiglia. Ed è la stessa Chiesa universale che ci fa sentire parte di essa: quando abbiamo qualche problema, ci arrivano aiuti da tutto il mondo, come Europa, Canada, Stati Uniti. La Chiesa non è solo un’entità spirituale, ma anche materiale. C’è un mutuo scambio: i missionari esteri vengono qui – i primi sono stati i portoghesi nel 1677 –, ma oggi anche quelli bengalesi vanno in altri Paesi e lì portano Cristo e le tradizioni tipiche della nostra cultura, come i ‘bhojom’, i nostri inni sacri. Queste relazioni arricchiscono entrambi”. (ACF)

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