Cina e Usa costretti a collaborare per superare insieme le crisi ecomiche
Il legame fra i due Paesi si è rinsaldato nella crisi economica del 2008, quando la Cina in nome della stabilità mondiale sostenne il debito pubblico americano. Oggi sono uniti nelle sfide per le riforme economiche e per la soluzione delle crisi internazionali, a partire dalla Nord Corea
Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) - Il ruolo chiave della Cina va riconosciuto e incoraggiato dagli Usa. Non soltanto nella sua qualità di compratore di titoli di stato americani, ma soprattutto al fine della stabilizzazione dell'economia e della politica globale. A sostenere questa tesi, in una relazione pubblicata il 30 aprile scorso sul South China Morning Post, è Brian Moore, membro del Pacific Forum - Centre for Strategic and International Studies. Gli Usa, ha spiegato, hanno spesso considerato la Cina come la fonte di molti dei mali dell’economia americana. Secondo questa vulgata, i titoli di stato americani hanno costituito la piattaforma delle campagne di manipolazione sulla valuta messe in atto dalla Cina per mantenere il valore dello yuan artificialmente basso. Una pratica che avrebbe finito per devastare il settore della manifattura americana. La partecipazione azionaria massiccia della Cina nel debito degli Stati Uniti, infatti, avrebbe sottoposto gli americani alla volontà di Pechino mentre le grandi imprese statali cinesi potevano osservare da vicino le imprese americane e realizzare le acquisizioni strategiche. In alcuni casi mettendo a rischio la sicurezza nazionale. Questa è una posizione forte dal punto di vista retorico, non senza elementi di verità, che tuttavia non fa giustizia dei fatti, secondo Moore.
Quando, infatti, il sistema finanziario mondiale ha corso il rischio del disastro totale è stata proprio la Cina a permettere a tutti di fermarsi sull’orlo del precipizio. Durante l’assalto della crisi finanziaria del 2008, il Tesoro americano valutò le partecipazioni azionarie cinesi in titoli statunitensi a 1200 miliardi di dollari. Eppure il mercato stava inviando chiari segnali ai detentori del debito americano di smaltire le proprie riserve. Se la Cina avesse mollato avrebbe suscitato un ondata di vendite a breve che avrebbe compromesso infine la capacità di Washington di intervenire nella crisi con forti iniezioni di liquidità nel mercato (800 miliardi di dollari). Invece i cinesi non solo non cedettero ma dimostrarono perfino la capacità di rifiutare la partecipazione al tentativo russo di minare il sistema finanziario statunitense. L'ex esperto Cia per l’East Asia, William Brown, ha avuto modo di sottolineare che la Cina in quei giorni di crisi ha aumentato costantemente le proprie partecipazioni, suscitando probabilmente lo sgomento delle fazioni antiamericane nel mondo. Se soltanto avesse voluto punire gli Usa avrebbe avuto l’occasione giusta per farlo “seppure a caro prezzo”, si sottolinea nella relazione. Quando la crisi puntò su Fannie Mae e Freddie Mac, le due società definite sistemiche per gli Usa perché detenevano o garantivano oltre 5mila miliardi di dollari in ipoteche residenziali e titoli garantiti da mutui, circa la metà del mercato dei mutui totali, le voci provenienti da Wall Street dicevano che le banche cinesi stavano ritirando grandi somme dai fondi del mercato monetario americano. Ma Zhou Xiaochuan, il governatore della Banca centrale della Cina, in una telefonata con il sottosegretario del Tesoro per gli affari internazionali David McCormick, confermò che l’Amministrazione cinese aveva fornito indicazioni per non ritirarsi. La Cina aveva capito che la sopravvivenza dell’economia americana era di vitale importanza per il sistema finanziario globale. Un atteggiamento di sicuro interessato che tuttavia non è passato inosservato ed è stato accolto favorevolmente negli Usa. Una vicenda che inoltre ha rinsaldato i rapporti tra i funzionari cinesi e americani, all'epoca rivelatisi cruciali per prevenire il crollo. Oggi Stati Uniti e Cina sono uniti da una grande sfida: la dura necessità di ristrutturare entrambe le economie. Un obiettivo che richiede ai cinesi di aumentare i consumi e diminuire le esportazioni nette, mentre gli Stati Uniti devono fare il contrario. Una strategia che include intrinsecamente una svalutazione del dollaro e una rivalutazione dello yuan. Uniti anche in politica estera, visto che certe questioni, come quella della Corea del Nord, sono enormi se affrontate da soli mentre “l'opzione politica di procrastinare una decisione comune”, conclude la relazione, “non appare più essere sul tavolo”. In tutto ciò, il riconoscimento e il rafforzamento dell’atteggiamento positivo tenuto dalla Cina durante la crisi economica, per lo scampato pericolo, è un punto di partenza forte.