24/06/2024, 11.12
TERRA SANTA
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Chiese e Israele, nuovo scontro sulle tasse. Capi cristiani: violato lo status quo

In una lettera indirizzata al premier Netanyahu patriarchi e capi delle Chiese protestano per la decisione di diverse municipalità di imporre l’Arnona. La controversia riguarda Tel Aviv, Ramle, Nazareth e Gerusalemme. I leader esprimono “profonda preoccupazione”: proprio mentre il mondo segue con apprensione il conflitto in corso cresce l'intolleranza verso la presenza cristiana in Terra Santa.

Gerusalemme (AsiaNews) - All’ombra del conflitto a Gaza si consumano numerosi fronti di tensione e di scontro interni a Israele, dall’escalation di attacchi dei coloni ebraici nei Territori palestinesi sino alla “guerra” delle tasse sui beni immobili (e non) con le denominazioni cristiane di Terra Santa. Un problema annoso che, in questi giorni, registra un nuovo capitolo: i capi delle diverse Chiese di Gerusalemme hanno sottoscritto un documento in cui manifestano la ferma opposizione alla decisione della municipalità di imporre tasse comunali (Arnona) sulle proprietà delle chiese tesse. Nella dichiarazione congiunta, diffusa ieri a nome dei Patriarchi e dei Capi cristiani, i leader esprimono “profonda preoccupazione” per la decisione; essa, infatti, finisce per contraddire “secoli” di accordi storici tra le Chiese e le autorità civili e rappresenta un “attacco coordinato” alla presenza cristiana in Terra Santa avviando ”procedimenti fiscali”.

“Dichiariamo che tale misura - affermano nel documento i vertici cristiani - mina il carattere sacro di Gerusalemme e mette a rischio la capacità della Chiesa di svolgere il suo ministero in questa terra per conto delle sue comunità e delle Chiese di tutto il mondo”. Inoltre, nella nota patriarchi e capi sottolineano i “contributi significativi” delle diverse organizzazioni cristiane attive a Gerusalemme, compresi gli investimenti in “scuole, ospedali, case per anziani e strutture per le persone svantaggiate”. Una opera che le autorità civili “hanno storicamente riconosciuto e rispettato” per il prezioso contributo garantito a tutta la comunità, compresi ebrei e musulmani. 

I capi delle chiese hanno chiesto alla municipalità di Gerusalemme di ritirare la decisione e di mantenere lo status quo storicamente sancito. A firmare la lettera sono il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini; Theophilos III, del patriarcato greco-ortodosso; Nourhan Manougian, del patriarcato armeno-apostolico-ortodosso; fra Francesco Patton, ofm, Custode di Terra Santa; il vescovo Ibrahim Sani Azar, della Chiesa evangelica luterana in Giordania e Terra Santa; Georges Dankaye’, dell’esarcato patriarcale armeno cattolico. I capi cristiani hanno sottolineato l’importanza di mantenere il “carattere sacro” di Gerusalemme e di “proteggere” la capacità delle chiese di svolgere i ministeri loro affidati.

L’annosa questione delle tasse sulle proprietà cristiane in Terra Santa, da tempo al centro di difficili colloqui fra i rappresentanti di Israele e Vaticano, risulta tuttora irrisolta. In Israele luoghi di culto e monasteri sono esentati dal pagamento di balzelli e tasse di proprietà; tuttavia, negli ultimi anni il governo e le amministrazioni locali hanno equiparato alcune realtà ecclesiastiche che offrono vitto e alloggio, soprattutto a pellegrini, a vere e proprie attività commerciali come hotel, bar e ristoranti.

Uno scontro che ha registrato fasi di profonda tensione, culminate il 25 febbraio 2018 nella decisione del patriarca armeno Manougian, del greco-ortodosso Teofilo III e del custode di Terra Santa fra Francesco Patton di chiudere temporaneamente per protesta la basilica del Santo Sepolcro (nella foto: un momento di quella protesta). Nel mirino una bozza di legge sull’esproprio di terreni appartenuti a Chiese e la richiesta dell’allora sindaco di versare anni di tasse, contravvenendo agli accordi legati allo status quo. Nel febbraio dello scorso anno la municipalità aveva inoltre bloccato i conti dell’Istituto (pontificio) Notre Dame di Gerusalemme, innescando un ulteriore fronte di scontro fra le parti.

I cristiani sono una sparuta minoranza, meno del 2% della popolazione di Israele e dei territori, costituita soprattutto da arabi israeliani e palestinesi. Nella lettera inviata al primo ministro Benjamin Netanyahu in settimana si legge che negli ultimi mesi i comuni di Tel Aviv, Ramle, Nazareth e Gerusalemme hanno emesso lettere di avvertimento o avviato azioni legali per presunti debiti fiscali. Mentre i funzionari israeliani hanno cercato di liquidare il disaccordo come una questione finanziaria di routine, le Chiese affermano che la mossa stravolge il secolare status quo ed è un riflesso della crescente intolleranza verso la presenza cristiana in Israele e in Cisgiordania. “In questo momento - scrivono - in cui tutto il mondo, e il mondo cristiano in particolare, segue costantemente gli eventi in Israele, ci troviamo ancora una volta ad avere a che fare con un tentativo da parte delle autorità di cacciare la presenza cristiana dalla Terra Santa”. Interpellata dall’Associated Press la municipalità di Gerusalemme afferma che la chiesa non ha presentato le necessarie richieste di esenzione fiscale negli ultimi anni ed “è in corso un dialogo per riscuotere i debiti” relativi alle “proprietà commerciali” in loro possesso. Nessun commento dagli altri comuni. 

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