06/05/2015, 00.00
FILIPPINE
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Chiesa filippina: Il secolarismo provoca il fondamentalismo, basta sangue in nome di Dio

di Socrates B. Villegas*
Il presidente della Conferenza episcopale filippina, mons. Villegas, invia un messaggio alle diocesi del Paese: “Il nostro arcipelago è grande abbastanza per cristiani e musulmani, abbiamo sempre convissuto e condiviso in pace. Applaudire il Papa non basta, bisogna cogliere la sua lezione di pace e tolleranza”. Chi uccide in nome di Dio “bestemmia il Suo nome e va sconfessato”. Il testo completo del messaggio (traduzione in italiano a cura di AsiaNews).

Manila (AsiaNews) – Uccidere in nome di Dio: questa è una delle contraddizioni più dolorose del nostro tempo! Questo ha fatto sì che molti si allontanassero dalla religione. Infatti, ogni qual volta le agenzie di stampa riportano la morte di civili indifesi e di bambini innocenti a causa di conflitti religiosi, sorge la domanda se la religione sia una parte (anche se non la più importante) o meno del problema. Questo non fa che rafforzare le tendenze secolariste. Laddove la religione è incolpata per gli spargimenti di sangue e il caos, lo Stato si sforza di proteggere la popolazione e di mantenere la pace cercando di limitare al massimo le dimostrazioni pubbliche di fede e i simboli religiosi, se non sopprimendoli addirittura. Il rafforzarsi del secolarismo, però, innesca la militanza religiosa, e ben presto il circolo vizioso di provocazioni, scontri e violenze va fuori controllo, lasciando nella sua scia i corpi straziati delle vittime che muoiono invocando il divino soccorso, uccisi da coloro che invocano il divino comando.

Papa Francesco ha conquistato l’ammirazione di tutti e continua ad essere di ispirazione. Ma a noi non basterà semplicemente guardarlo e applaudirlo. Egli intende mostrare la via e dimostrare a tutti che con un cuore pieno fino all’orlo di amore invincibile – reso possibile solo da una fede invincibile dell’amore di Dio – è possibile sedersi in modo pacifico a tavola con uomini e donne che invocano Dio con altri nomi e spezzare il pane insieme a loro come fratelli e sorelle. Non è sufficiente rallegrarsi di papa Francesco che rompe gli schemi. Noi dobbiamo unirci a lui nel portare avanti i frutti della nostra fede!

La tolleranza non è sufficiente, perché tolleranza significa “lasciar essere” ed è perfettamente coerente con l’essere indifferenti se non segretamente perfidi col prossimo. Essere tolleranti verso gli altri non è il precetto cristiano, che è invece accogliere gli altri, in particolari quelli che la Sacra Scrittura chiama anawim…i poveri del Signore, coloro che non hanno nessuno che li difenda. Nell’Antico Testamento, il popolo di Dio, in particolare nei momenti di difficoltà, riconosce che Dio può operare attraverso le mani anche di sovrani pagani. Il popolo capisce Dio è molto più generoso della loro stessa meschinità, e presiede con maestà dall’alto tutte le divisione che l’umanità genera all’interno di sé stessa.

Gesù è l’incarnazione suprema dell’accoglienza dell’altro. Egli non solo tollerava i reietti della società: li andava a cerare e sedeva a tavola con loro. Non solo evitava di litigare coi romani: guariva il servo del centurione dopo averlo lodato per la sua fede. E l’accoglienza che estendeva ai greci che lo andavano a cercare quando si avvicinavano i giorni della Pasqua ebraica gli dava l’occasione di parlare della sua missione e della comunità che lasciava dietro di sé. I Padri della Chiesa credevano in modo appassionato che la Parola di Dio fosse più di quel che categorie e classi potessero contenere, e in modo sapiente pensarono ai “logoi spermatikoi”, i germi della verità che si possono trovare oltre i confini visibili della Chiesa.

Le Filippine sono un arcipelago grande a sufficienza per cristiani e musulmani. Ci sono stati incidenti dolorosi, eventi gravosi per i quali cristiani e musulmani dovrebbero domandare perdono reciproco. Ma per tutti questi anni non solo siamo riusciti a vivere fianco a fianco, ma abbiamo approfondito la comprensione della spiritualità e della cultura reciproche. Molti musulmani hanno frequentato scuole e college gestiti dalle congregazioni cattoliche delle Filippine, e molti musulmani hanno accettato di buon grado la collaborazione coi cattolici in iniziative per i poveri e la popolazione in difficoltà. Possiamo ancora mostrare al mondo cosa significhi, per noi che veneriamo un solo Dio, il fatto che i nostri figli e figlie possano vivere insieme.

Dio è la prima causa, la somma della carità! La buona volontà umana non è sufficiente; è fragile, agitata dagli umori che cambiano, afflitta nel profondo da quella malattia radicata alla base della condizione umana chiamata peccato originale. La religione non può essere la causa dei conflitti. Essa non può giustificare in alcun modo le aggressioni alla vita umana, gli attacchi alla libertà, i crimini contro la dignità degli altri. “Nel nome di Dio, il più magnanimo e misericordioso…”, è un’invocazione molto potente e bella, ben conosciuta dai musulmani di tutto il mondo, ma non sconosciuta ai cristiani.

Nell’Antico Testamento, quando Dio si mostra al profeta che si è nascosto in un incavo della roccia, rivela il proprio nome: “Il misericordioso, il compassionevole”. Coloro che adorano in modo sincero un Dio compassionevole e misericordioso di sicuro Lo bestemmiano quando, nel suo nome, alzano le mani contro i fratelli e le sorelle. Nulla dovrebbe essere più gradevole per Dio, nessuna offerta più accettabile del fatto che il suoi figli e le sue figlie vivono insieme nella misericordia e nella compassione con le quali Egli vuole essere conosciuto!

Ritorniamo all’esempio di papa Francesco, il profeta dei nostri tempi mandato da Dio. Egli approfitta di ogni opportunità per pregare con persone di fedi diverse. Accoglie ogni occasione di dialogo con loro sui problemi e le questione del mondo. Egli è accogliente perché ama in modo sincero, e questa è la chiave di tutto il discorso. Uno degli antichi inni della Chiesa immortala bene questo: Ubi caritas et amor, Deus ibi est! Dove sono la carità e l’amore, là c’è Dio! Non dovrebbe importare molto il fatto che lo chiamiamo con nomi diversi, e che il racconto che ne facciamo possa essere differente. Noi rispetteremo le nostre differenze; noi gioiremo in esse e ne saremo arricchiti. Dobbiamo riconoscere però che quando riusciamo a vivere nell’amore, nel dialogo d’amore, a pregare nell’amore e a fare spazio gli uni gli altri, lì risplende il volto di Dio!

No, la religione non è la causa della miseria che il affligge il mondo. È piuttosto perché il volto di Dio è eclissato dai programmi politici ed economici, dalle ideologie e dalle affiliazioni che noi siamo scoraggiati dalle atrocità senza precedenti. È perché gli uomini e le donne che hanno responsabilità permettono all’arroganza della politica e all’intossicazione del potere di spegnere la misericordia e la compassione, solo attraverso le quali Dio è venerato e glorificalo.

Ciò che salverà il mondo da tutta la crudeltà e dall’odio, dalla distruttività  e dall’avventatezza che ha portato così tanta miseria a molti è un ritorno alla religione, una ricerca sincera del volto di Dio nei miei fratelli e nelle mie sorelle in una venerazione genuina di quel Dio che ha scelto di essere conosciuto come Tutto Misericordioso, Tutto Compassionevole.

* arcivescovo di Lingayen-Dagupan e presidente della Conferenza episcopale filippina

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