Cardinale di Yangon, Chiesa birmana: voce di poveri ed emarginati, testimone di Cristo con le opere
Città del Vaticano (AsiaNews) - La Chiesa birmana "deve essere sempre più parte" del processo di ricostruzione che è in atto nel Paese, deve essere "la voce dei poveri, degli ultimi, delle minoranze etniche, di quanti hanno perso la speranza e sono emarginati". Tuttavia, essa "non è una Ong con una agenda e obiettivi da raggiungere", ma è una realtà "aperta a tutti, nessuno escluso" attraverso la quale "portare il messaggio di Cristo". È quanto afferma il card Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, che lo scorso 14 febbraio ha ricevuto la berretta cardinalizia, assieme ad altri due asiatici: François-Xavier Kriengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok e Pierre Nguyên Van Nhon, arcivescovo di Hanoi. Incontrando AsiaNews prima di rientrare in Myanmar, il neo porporato spiega che "il valore di essere cristiani" e l'opera di evangelizzazione non si raggiungono "con il proselitismo", ma mediante "le opere e il lavoro". "Come afferma papa Francesco, possiamo crescere attraverso l'azione e l'attrazione, perché non siamo alla ricerca di una forma di potere o di sopraffazione sugli altri".
Il card Bo è nato il 29 ottobre 1948 a Monhla, villaggio del distretto di Shwebo, nell'arcidiocesi di Mandalay, al centro del Myanmar. Egli è cresciuto nella casa dei salesiani e, seguendo il carisma di don Bosco, ha compiuto il cammino di formazione spirituale. Ordinato sacerdote a Lashio il 9 aprile 1976, egli ha guidato la parrocchia di Loihkam fino al 1981, poi nella stessa Lashio per i successivi due anni. Il 7 luglio 1990 la prefettura viene elevata a diocesi ed egli ne diventa il primo vescovo, ricevendo l'ordinazione episcopale il 16 dicembre. Il 13 marzo 1996 è trasferito nella diocesi di Pathein e, nel 2002, nominato amministratore apostolico dell'arcidiocesi di Mandalay. Il 15 maggio 2003 è promosso arcivescovo di Yangon, dove fa il suo ingresso il 7 giugno.
In questi anni il neo porporato è intervenuto negli eventi e nelle vicende più importanti che hanno caratterizzato la vita del Paese, rilanciando il ruolo della Chiesa locale che ha da poco concluso i festeggiamenti per i 500 anni di vita. Egli ha rivendicato a più riprese il diritto alla libertà religiosa e il dovere di rafforzare il dialogo interreligioso, promuovendo al contempo il cammino di evangelizzazione e sostenendo il processo di pace fra governo centrale e minoranze etniche.
Parlando del Myanmar, il neo porporato descrive un Paese che "è in fase di ricostruzione" dopo decenni di conflitti, tensioni, dittature e profonde divisioni. "In due, tre anni non è possibile costruire una società perfetta, distruggere è facile mentre è molto più difficile ricostruire. La situazione sta migliorando, nascono scuole, vengono liberati i prigionieri politici, vi sono più diritti - aggiunge - ma è necessario aver pazienza, ascoltare e cercare il dialogo, il compromesso fra le parti". In questo senso egli invita gli studenti in piazza in queste settimane per chiedere modifiche alla riforma dell'Istruzione a "essere uniti, fermi" ma, allo stesso tempo, evitare "qualsiasi forma di violenza o l'uso della forza". Le rivendicazioni dei giovani sono legittime, conferma il card Bo. Alcuni punti fra cui la libera associazione sindacale e la valorizzazione delle minoranze etniche "sono giusti", per questo "vi invito a essere educati, istruiti e fermi".
Commentando la nomina cardinalizia, l'arcivescovo di Yangon parla di "una sorpresa fatta dal Papa", che però non considera "un onore individuale o un titolo, ma una responsabilità per la Chiesa del Myanmar e per tutto il Paese". Il Pontefice "cerca di raggiungere tutti, guarda alle periferie del mondo e anche se in Myanmar i cattolici sono solo l'1,3/1,5%, egli ha dimostrato tutta la sua attenzione verso di noi". Il porporato ricorda l'opera della Chiesa birmana per la democrazia, per la pace e il dialogo interreligioso in una nazione ancora oggi segnata da conflitti e divisioni: confessionali fra buddisti e Rohingya musulmani nello Stato occidentale di Rakhine; etniche, in particolare fra governo centrale e minoranza Kachin nell'omonimo Stato a nord, al confine con la Cina, abitato in larghissima maggioranza da cristiani e cattolici.
Negli ultimi anni il governo e la leadership al potere si sono concentrate troppo "sull'appartenenza birmana e la fede buddista", che rappresentano peraltro l'85% del Paese, relegando ai margini le minoranze etniche. La Chiesa opera per la riconciliazione, aggiunge il porporato, auspicando una "onesta distribuzione delle risorse" e affermando i valori di "giustizia, pace, sviluppo". Attraverso la Caritas birmana (Karuna), prosegue, essa "lavora per i diritti degli individui e il dialogo interreligioso", approfittando del fatto che "oggi il governo è più aperto ad accogliere suggerimenti e proposte".
La Chiesa è parte di questo processo, che riguarda anche la riconciliazione fra buddisti Arakan e musulmani Rohingya. Servono accordi, dialogo, pazienza, comprensione, perché "non vi è una soluzione semplice e immediata all'orizzonte". La situazione "resta critica", ma come cattolici "siamo impegnati nella promozione dei negoziati" perché è stata proprio la Chiesa a portare in Myanmar il valore del dialogo interreligioso, "sconosciuto a buddisti e musulmani, ma che ora è diventato un'urgenza e una necessità comune a tutti". Fra le proposte lanciate dai vertici cattolici birmani, quella di inserire nel curriculum scolastico "lo studio della religione, anzi delle diverse religioni che sono presenti in Myanmar". "Perché è importante che i bambini imparino la storia - conclude il primo cardinale della Chiesa birmana - il rispetto, la convivenza, ed è altrettanto importante che questo percorso di conoscenza e di educazione abbracci le scuole, le istituzioni, i giovani, i ministri, i funzionari, persino i monaci dei monasteri e i futuri sacerdoti nei seminari".