Attivisti russi: Putin aiuta Assad ma si dimentica del popolo siriano in fuga
Mosca (AsiaNews) - “L’assistenza della Russia al regime siriano non si estende anche alla sua popolazione: quella tra Putin e Assad è un’amicizia pericolosa, come tutte quelle in cui i leader politici prendono accordi senza tenere presente i bisogni della popolazione”. A parlare è Svetlana Gannushkina, presidente del Comitato “Assistenza civile”, veterana dell’accoglienza dei rifugiati a Mosca e più volte candidata al Nobel per la pace.
Da mesi, la sua organizzazione denuncia il vicolo cieco in cui si trovano i migranti siriani in Russia, dove praticamente non viene concesso a nessuno lo status di rifugiato e ottenere l’asilo politico è più difficile che prendere la cittadinanza.
Il 15 ottobre, una sentenza della Corte europea dei diritti umani (Echr) ha condannato la Russia a liberare e risarcire tre richiedenti asilo siriani, che erano tenuti in custodia in attesa di deportazione. Secondo i giudici, le autorità russe hanno violato l’articolo 2 (diritto alla vita) e il 3 (proibizione di torture e trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo quando hanno ordinato il rimpatrio dei tre uomini.
Stando alle cifre del Comitato “Assistenza civile”, finora in tutto il Paese vi sono solo due casi di siriani con asilo politico. La soluzione più percorribile per i profughi è chiedere l’asilo temporaneo, che dura un anno, ma anche qui ci si scontra con una burocrazia kafkiana, alto livello di corruzione e gli interessi di un certo business che guadagna dalla manodopera a basso costo degli immigrati irregolari. “I siriani che hanno asilo temporaneo sono duemila, ma secondo le mie stime sarebbero 10mila gli aventi diritto. Le statistiche ufficiali registrano 12mila siriani in Russia: in confronto ai numeri dell’Europa sono spiccioli”, dichiara la Gannushkina.
La differenza è che qui dalla Siria si arriva con visto regolare, alla cui scadena però non fa seguito altrettanta apertura da parte delle autorità. “Sembra che la Russia abbia due politiche diverse: quella del ministero degli Esteri che concede i visti sapendo benissimo che queste persone poi chiederanno di rimanere e quella del servizio immigrazione che invece li respinge”, denuncia l’attivista, pur riconoscendo che ultimamente le autorità si stanno dimostrando “più sensibili”.
Pur avendo firmato la Convenzione di Ginevra, la Russia – denunciano gli attivisti – semplicemente non riconosce lo status di rifugiato: alla fine del 2014, ne erano in possesso ufficialmente solo 790 persone, di cui 300 cittadini ucraini, funzionari dell’amministrazione dell’ex presidente Viktor Yanukovich, riparato in Russia dopo la rivolta del Maidan o ex membri delle forze speciali di polizia Berkut, implicate nella repressione delle proteste a Kiev. “Per un Paese come il nostro, 790 è pari a zero – incalza la Gannushkina – anzi, se fosse zero sarebbe meglio, perché così diremmo tranquillamente: siamo usciti alla Convenzione di Ginevra e da noi i rifugiati non ci sono e non ci saranno”.
Il più delle volte il rifiuto a concedere lo status di rifugiato è motivato dal servizio immigrazione col fatto che in Siria, a suo dire, non vi è una guerra ma una semplice operazione anti-terrorismo e che i migranti fuggono solo per motivi economici. Senza documenti regolari non si lavora e senza lavoro non si possono pagare le pratiche per regolarizzarsi. È un circolo vizioso che costringe centinaia di famiglie a vivere in semi-clandestinità, senza poter accedere al servizio sanitario e all’istruzione per i figli.
È il caso di Mohamad Ammaneh, 30 anni di Aleppo, arrivato in Russia con la moglie. Qui hanno avuto due bambini. Vivono a Noginsk, cittadina a due ore di treno da Mosca dove si concentra la maggior parte della diaspora siriana. Nel 2014 si è rivolto al Comitato “Assistenza civile” per provare a legalizzare la sua condizione, con l’aiuto degli avvocati dell’organizzazione. “Pensavo che la Russia fosse amica dei siriani, ci hanno sempre detto così, ma mi sono dovuto ricredere – denuncia Mohamad – in due anni non ho ricevuto alcun aiuto né economico né umanitario dalla Russia, che continua a non volerci riconoscere come rifugiati. Voglio andare ovunque, ma non stare qui”.
Da un anno Mohamad vive chiedendo prestiti, ma ora non ha più soldi, né per l’affitto né per pagare i passaporti ai suoi due figli: lo Stato siriano chiede loro 400 dollari a testa. “Ho venduto persino il computer, non mi è rimato più niente. Tra pochi giorni saremo in mezzo a una strada”, aggiunge.
La Gannushkina mette in guardia sui rischi della situazione: “Dove non vi è una situazione legale, nasce corruzione, schiavismo e violenza e questo è pericoloso non solo per gli immigrati ma anche per lo Stato stesso”.