Associazione avvocati: Gli Uffici di Pechino non hanno alcun potere di supervisione su Hong Kong
Secondo la costituzione di Hong Kong, il Liaison Office e l’Ufficio per i rapporti con Hong Kong e Macao non possono interferire negli affari interni. Cina e governo del territorio avevano sostenuto il contrario. Le pressioni di Pechino sugli arresti e le sentenze dei dimostranti anti-estradizione. Xi Jinping teme che l’onda della democrazia straripi anche in Cina.
Hong Kong (AsiaNews) – L’Associazione degli avvocati di Hong Kong ha dichiarato che gli Uffici di Pechino nel territorio (il Liaison Office e l’Ufficio per i rapporti con Hong Kong e Macao) non hanno alcun potere di supervisione sugli affari interni di Hong Kong.
In un testo diffuso nel pomeriggio di ieri, l’Associazione ha detto che i due Uffici sono sottomessi alla Basic Law (la costituzione di Hong Kong) ed è loro proibita ogni interferenza negli affari interni del territorio, come affermato nell’articolo 22. Il Gruppo degli avvocati ha portato come prova un documento del Legco (il parlamento di Hong Kong) che nel 2007 affermava la sottomissione degli Uffici all’articolo 22. Essi hanno inoltre citato una dichiarazione del 2018 di Patrick Nip, Segretario per gli affari costituzionali e per la Cina, in cui si afferma che il Liaison Office “seguirà, come sempre, le leggi della Regione a speciale amministrazione di Hong Kong, secondo le richieste stipulate nell’articolo 22 della Basic Law”.
La dichiarazione è uno schiaffo al governo del territorio che il 18 aprile aveva diffuso tre dichiarazioni di seguito: nella prima si dichiarava che i due Uffici di Pechino erano sotto l’art. 22; nella seconda sono stati cancellati tutti i riferimenti all’art. 22; nella terza si difende il potere dei due Uffici di supervisionare le attività di Hong Kong perché non sottomessi al regime dell’art. 22.
Essa è anche uno schiaffo a Luo Huining, il nuovo direttore del Liaison Office, un “uomo di Xi Jinping”, nominato nel pieno della crisi legata alle manifestazioni anti-estradizione che dal giugno 2019 si susseguono nel territorio.
Secondo alcuni analisti, Luo ha il mandato di “rimettere in sicurezza”, sotto il potere di Pechino, l’ex colonia che spinge per la democrazia. La scorsa settimana il suo Ufficio si è scagliato contro l’opposizione parlamentare dei democratici, accusandola di “ostruzionismo” alle mire della Cina. Come “prova” del braccio di ferro che egli vuole instaurare nel territorio, il 18 aprile la polizia ha arrestato 15 personalità del movimento democratico, accusate di aver “organizzato e partecipato a assemblee illegali” nei mesi scorsi. Fra le personalità vi sono Martin Lee, cattolico, fra o padri del movimento democratico, e la giurista Margaret Ng, ex parlamentare e avvocato in difesa dei diritti umani. Il loro arresto va ad assommarsi alle migliaia di arresti avvenuti in questi mesi, tutti legati alla partecipazione alle manifestazioni anti-estradizione. Settimane fa, il Dipartimento di giustizia ha dichiarato che dal 9 giugno ad oggi, durante le manifestazioni sono state arrestate 7600 persone. Esse hanno un’età dagli 11 agli 84 anni. Il 17% degli arrestati sono minori di 18 anni.
Nei giorni scorsi sono anche emerse rivelazioni, secondo cui i giudici di Hong Kong avrebbero ricevuto ordini da Pechino di non assolvere nessun manifestante.
L’art. 22 della Basic Law garantisce in qualche modo la non interferenza di Pechino sugli affari di Hong Kong, salvaguardando la sua autonomia iscritta nel principio “un Paese, due sistemi”. Secondo diversi osservatori, Xi Jinping teme che la crescente ondata pro-democrazia ad Hong Kong possa straripare anche in Cina, dove in seguito all’epidemia di Covid-19 e ai silenzi del regime, sono cresciute le critiche della società civile.