Arcivescovo di Yangon ai leader religiosi: costruire insieme un Myanmar di pace e giustizia
Yangon (AsiaNews) - "Dobbiamo mandare un segnale forte a quanti vogliono piantare il seme della discordia" nel Paese e costruire insieme un Myanmar "del futuro che sia fondato sulla giustizia, sulla pace e la collaborazione fraterna". È quanto ha affermato l'arcivescovo di Yangon mons. Charles Bo, nel suo intervento alla conferenza di pace alla presenza dei più importanti religiosi e intellettuali birmani. Il prelato ha ricordato gli insegnamenti del Buddha, improntati alla "compassione non solo per gli esseri umani, ma per tutti gli esseri viventi"; e la testimonianza di Gandhi, indù e promotore della lotta non-violenta. Negli ultimi 60 anni, ha aggiunto mons. Bo, il popolo del Myanmar ha dovuto affrontare "un viaggio nell'abisso della sofferenza". Grazie a monaci e leader politici come Aung San Suu Kyi, si apre "una nuova era" e "permettere episodi di odio e violenza sarebbe come tradire il sacrificio di migliaia di persone che hanno versato sangue e lacrime per portarci dove siamo oggi".
L'1 e il 2 ottobre a Yangon si è tenuta una Conferenza interreligiosa dedicate alla pace, all'armonia e alla coesistenza pacifica, organizzata dall'Institute for Global Engagement e dal Sitagu International Buddhist Academy (Siba). All'evento hanno partecipato i leader delle cinque principali religioni in Myanmar: buddisti, indù, cristiani, musulmani ed ebrei. Obiettivo comune, un maggiore impegno per la pace nel Paese. Particolare attenzione è stata dedicata alle aree critiche, fra cui lo Stato occidentale di Rakhine teatro dal giugno 2012 di violenze interconfessionali fra buddisti e musulmani Rohingya. Il presidente Thein Sein, che in questi giorni ha visitato per la prima volta lo Stato di Rakhine, ha inviato un messaggio ai partecipanti alla conferenza di pace; il capo di Stato assicura l'impegno del governo "a collaborare con le cinque principali religioni", al fine di "prevenire conflitti etnici o religiosi".
A fronte dei buoni propositi, la situazione nell'area ovest della nazione resta critica e continuano a registrarsi nuove vittime. È di cinque morti - appartenenti alla minoranza musulmana Kaman che, a differenza dei Rohingya, gode della piena cittadinanza - il bilancio degli scontri avvenuti il primo ottobre nella cittadina di Thandwe. A innescare le violenze, uno scontro verbale avvenuto il 28 settembre scorso fra un tassista buddista e un musulmano. La disputa è degenerata sino all'attacco lanciato ieri da una folla di buddisti, contro la comunità musulmana locale. Ieri il presidente birmano ha incontrato i leader religiosi delle due comunità, ma la tensione resta alta e si temono nuovi scontri.
In un quadro tuttora contraddistinto da attacchi e sospetti, si fa più pressante e urgente l'invito dei leader religiosi alla pace e alla convivenza reciproca. Nel suo intervento mons. Bo ha affermato che il Myanmar è una "nazione benedetta" e ricca di "risorse" e deve tornare a essere quel "luogo invidiato negli anni 50 e 60 da piccole realtà come Singapore", oggi all'avanguardia. Per questo è necessario "astenersi dal fomentare l'odio con gesti e parole". Dopo 60 anni di dittatura militare, l'arcivescovo vede spiragli di "opportunità" per un Paese dal "destino condiviso" fra tutti i suoi abitanti. "Uniti possiamo vincere - ha aggiunto il prelato - mentre da soli crolliamo".
Mons. Bo invita a guardare alle nazioni in "guerra perenne" e che "non ascoltano la voce della ragione, ma si lasciano attrarre dall'odio". È necessario imparare dagli errori altrui e valorizzare i punti di forza, come "l'unità nella diversità": "Le nostre tradizioni spirituali - conclude il prelato - scorrono come il nostro grande fiume Irrawaddy, maestoso e perenne. Dobbiamo mandare un segnale forte ai predicatori di odio", un segnale di pace e armonia secondo le parole di papa Paolo VI alle Nazioni Unite: "Se volete la pace, lavorate per la giustizia".