Arcivescovo di Saigon: Il governo rispetti la libertà religiosa
di Philip Blair
Il card Phnam Minh Man scrive al Primo Ministro, per denunciare il progressivo peggioramento nei diritti dei fedeli. Le proposte di legge governative sanciscono maggiore controllo dello Stato, che decide in modo arbitrario la concessione della pratica del culto. La preoccupazione dei vescovi vietnamiti.
Ho Chi Minh City (AsiaNews) – “Nel complesso, la quinta bozza di modifica al Decreto governativo 22/2005 è un enorme passo indietro se paragonato all’originale, l’Ordinanza sulle credenze, le religioni e la Costituzione”. È quanto sottolinea il card Jean Baptiste Pham Minh Man, arcivescovo di Ho Chi Minh City, in una lettera indirizzata al Primo Ministro vietnamita. La missiva, pubblicata il 20 maggio scorso su VietCatholic News, è stata diffusa dopo che il porporato ha invitato i rappresentati di tutte le diocesi della provincia ecclesiastica di Saigon, a un convegno sul progetto di legge la settimana prima.
“Essenzialmente” continua il cardinale “la proposta di emendamento del decreto riflette il desiderio del governo di re-introdurre il meccanismo della Richiesta e del Permesso nelle attività religiose. Il processo di Richiesta e Permesso trasforma diritti legittimi dei cittadini, in privilegi nella mani dei funzionari governativi, che vengono concessi o negati alla cittadinanza mediante procedure burocratizzate”.
“Perciò, il meccanismo di Richiesta e Permesso” avverte l’arcivescovo di Ho chi Minh City “non elimina solo i diritti legittimi dei cittadini, ma trasforma al contempo ‘un governo del popolo, eletto dal popolo e per il popolo’ in un ‘Padrone della nazione’ che detiene nelle proprie mani tutti i diritti, concedendoli o negandoli a seconda degli sbalzi di umore”.
I vescovi vietnamiti hanno più volte manifestato le loro preoccupazioni. La libertà religiosa è un diritto non negoziabile, ma in Vietnam la realtà è di gran lunga diversa a causa di una “giunga di leggi” piene di ambiguità e contraddizioni, che hanno il solo scopo di regolare, circoscrivere e per questo, controllare le comunità di fedeli.
Infatti, l’articolo 70 della Costituzione della Repubblica socialista del Vietnam (del 1992) stabilisce che “il cittadino deve godere della libertà di culto e della libertà religiosa; egli può seguire qualsiasi religione o nessuna. Tutte le fedi sono uguali al cospetto della legge. I luoghi di culto di tutte le fedi e religioni sono protette dalla legge. Nessuno può violare la libertà di culto o religione, al contempo è proibito abusare della religione e delle fedi per infrangere la legge, e le politiche dello Stato”.
La frase “abusare della religione o delle fedi” non è chiarita con precisione e si presta a diverse interpretazioni. Infatti, le normali attività religiose come l’impegno dei cattolici nella giustizia sociale e a favore dei diritti umani, sono state interpretate come “abuso della religione” in base all’articolo di legge sopracitato.
P. Peter Hansen, sacerdote a Melbourne, in Australia, sottolinea che “la norma non fornisce criteri di interpretazione in riferimento a ciò che dovrebbe essere considerato un ‘abuso’, così come non stabilisce chi sia il giudice preposto a decidere se una particolare attività rientra nell’ambito della definizione”. “Senza dubbio – aggiunge – era intenzione del legislatore lasciare il potere di decisione nelle mani dello Stato vietnamita, con la stessa Chiesa privata di alcun potere decisionale”.
Docente di Storia della Chiesa in Asia all’Università teologica australiana, il sacerdote avverte che “a livello potenziale, tutto questo affida allo Stato l’effettiva capacità di circoscrivere quanto è considerato legittima attività religiosa e, di conseguenza, considerare privo di legalità tutto ciò che esso non approva”.
Inoltre, le direttive di valore semi-legale presenti in una serie di norme, insieme ai decreti sul Culto e le Religioni, in particolare il Decreto governativo 22/2005 promulgato il Primo marzo 2005, il Decreto governativo 26/1999 promulgato il 19 aprile 1999, basato sulle direttive del Partito comunista (No. 37 CT/TW), in circolazione dal 2 luglio 1998, hanno ulteriori conseguenze sulla pratica della religione e sui diritti dei cittadini in materia di culto. Molte di queste norme hanno attirato critiche perché, di fatto, rappresentato un ostacolo alla piena libertà religiosa.
Essenzialmente, queste direttive aventi valore quasi legale sanciscono che tutte le religioni e le denominazioni religiose devono ottenere il riconoscimento del governo centrale, per poter operare in piena legalità.
Il cardinale della ex Saigon lamenta che “lo Stato riconosce solo l’esistenza delle religioni, non il loro status giuridico e i diritti degli appartenenti al clero. Per questo gli esponenti del clero non godono di pari diritti come gli altri cittadini e né rappresentare legalmente la loro religione. Secondo quanto stabilisce la Costituzione e le leggi, le organizzazioni religiose non possono vantare uno status giuridico come gli altri gruppi sociali… Invece di godere dei loro diritti legittimi, devono medicare per ottenere i permessi per celebrare le funzioni religiose, per diffondere il credo, per svolgere la formazione e l’ordinazione [del clero]”.
Per questo il verbale della conferenza, sottoscritto da p. Joseph Maria Le Quoc Thanh, il presidente della neonata Commissione di Giustizia e pace dell’arcidiocesi, ha evidenziato il sentimento di frustrazione dei partecipanti al forum, perché le attività religiose – tra cui le liturgie, le preghiere, le prediche, il catechismo – devono essere autorizzati ogni anno o ottenere un permesso ad hoc per ogni singolo evento, così come l’ingresso alla vita monastica deve soddisfare i criteri sanciti dalla Commissione per gli Affari religiosi.
La vita monastica e “attività religiose simili” devono sottostare alle norme governative; gli incontri religiosi devono ottenere l’approvazione dello Stato; la stampa, la pubblicazione e l’importazione di materiale stampato, in special modo ‘articoli di religione e cultura’ sono regolati dallo Stato. Considerato il particolare legame con il Vaticano e la Chiesa cattolica universale, le norme che regolano l’attività degli stranieri nella sfera religiosa assumono una particolare rilevanza per la Chiesa cattolica vietnamita. Il governo richiede che il conferimento di titoli e cariche religiose – soprattutto vescovi e cardinali – siano sottoposti ad approvazione, imponendo di fatto un veto dello Stato sulle nomine episcopali. E, in passato, ha più volte esercitato il diritto di veto respingendo candidati proposti dal Vaticano.
Il disegno di legge sancisce che le attività internazionali delle organizzazioni religiose devono essere conformi alle politiche e alle direttive statali; queste organizzazioni devono informare la Commissione per gli Affari religiosi di ogni istruzione ricevuta da ‘organizzazioni religiose straniere’, e quindi conformarsi alle istruzioni impartite dalla commissione stessa. Inviti a ‘organizzazioni religiose straniere o singoli individui’ devono essere approvati dalla Commissione per gli Affari religiosi. Gli stranieri che desiderano intraprendere attività religiose in Vietnam devono registrarsi presso i Comitati del Popolo locali e ogni aiuto ricevuto da organizzazioni religiose straniere deve ottenere il nulla osta della Commissione per gli Affari religiosi.
Il decreto sulle credenze e le religioni, promulgato il 18 giugno 2004, stabilisce che “le legittime proprietà di tutte le fedi e religioni è protetta dalla legge”. Tuttavia, il porporato ribatte che “in realtà, non è stato stipulato alcun documento con valore legale, che stabilisca in che modo sono protette e come vengano garantiti i diritti di proprietà delle comunità religiose”. E aggiunge: “Ecco perché una serie di locali e di terreni [appartenenti alla Chiesa] sono stati ingiustamente sequestrati”.
Facendo eco alle proteste dei vescovi vietnamiti, nel documento elaborato il 25 settembre 2008, il card Pham Minh Man ha affermato che le leggi sui terreni e le proprietà sono inconsistenti e datate, e per questo vanno riviste. Il governo vietnamita deve rispettare il diritto alla proprietà privata, come sancito nella Dichiarazione universale dei Diritti Umani: “Ogni individuo ha il diritto di possedere una proprietà da solo, o in comunione con altri” e “Nessuno potrà essere privato in modo arbitrario della sua proprietà”.
In breve, la quinta bozza di modifica al Decreto governativo 22/2005, come criticato dal card. Pham Minh Man, mentre mantiene in vigore tutte le severe restrizioni del passato in materia di libertà religiosa, richiede ulteriori procedure amministrative per la “richiesta del permesso”. Il porporato ha concluso la sua lettera affermando che la comunità cattolica vietnamita “desidera ardentemente vedere la costruzione di un sistema giuridico che contribuisca al progresso del popolo, realizzato dal popolo stesso in modo che il Paese possa svilupparsi e rimanere stabile”. Con cautela, egli ha voluto ricordare al governo vietnamita che “per la stessa ragione, il rispetto della legge, è necessario il coraggio di cambiare mentalità, rispettare la verità oggettiva, e promuovere modifiche partendo dalle basi dello Stato di diritti, piuttosto che basarsi solamente su decreti e regolamenti”.
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