Alla vigilia del G20 i tatari lanciano un appello: non dimenticate la Crimea
La minoranza di fede musulmana ha ripreso la tradizione delle preghiere collettive in abitazioni private, per aggirare i divieti imposti dalle autorità russe sui raduni pubblici. L’ultimo grande incontro è stato a casa di Ilmi Umerov, tra i leader finiti nel mirino dell’Fsb. La figlia: “Sta tornando l’uso della psichiatria repressiva contro i dissidenti, come in Urss”.
Bakhchysarai (AsiaNews) - A pochi giorni dal G20 di Hangzhou, in Cina, dove la situazione Ucraina sarà uno dei temi degli incontri tra i leader, la minoranza etnica dei tatari (circa il 15% della popolazione della penisola sul Mar Nero) chiede alla comunità internazionale di non considerare la Crimea un caso chiuso.
Preghiere collettive per rimanere uniti
Sullo sfondo di una vasta campagna di pressione da parte delle nuove autorità russe, che di fatto hanno loro vietato ogni raduno pubblico, i tatari di Crimea hanno iniziato a incontrarsi in abitazioni private e pregare per i loro prigionieri politici. L’ultimo grande raduno per una dua (invocazione ad Allah) si è svolto il 22 agosto a Bakhchisaray, dove oltre 500 persone si sono trovate a casa dell’attivista Ilmi Umerov, costretto in un ospedale per malati di mente a Simferopoli, su ordine di un tribunale, che gli ha imposto una perizia psichiatrica. Umerov, 59 anni, è il vice presidente del Mejlis - l’organo rappresentativo dei tatari di Crimea, quest’anno messo al bando dalla procura locale con l’accusa di “attività estremista". Come altri attivisti del movimento per i diritti dei tatari, l’uomo è finito nel mirino dei servizi segreti russi (Fsb) per la sua aperta opposizione all’annessione della Crimea alla Russia, avvenuta dopo un referendum, a marzo 2014, mai riconosciuto dalla comunità internazionale. Umerov è stato accusato di “pubblici appelli al separatismo”, per un’intervista rilasciata al canale ATR, in cui ha chiesto l’uscita della Crimea dalla Russia. Dopo varie perquisizioni nella sua abitazione e l’apertura di un’inchiesta, gli è stata imposta la perizia psichiatrica; a detta dei suoi avvocati il provvedimento è stato attuato “senza alcuna base legale”. Ora è ricoverato a Sinferopoli, in regime di strette restrizioni, e la sua salute sta peggiorando. Come spiega ad AsiaNews la figlia Ayshe, suo principale contatto con il mondo, il padre soffre di Parkinson, diabete e ipertensione e ogni giorno diventa sempre più debole, “anche se moralmente è forte e non vuole arrendersi”. La famiglia fa su è giù da Bakhchisaray a Simferopoli (oltre 30 km) due volte al giorno, per assicurargli almeno pasti regolari. “In stanza è solo, ma non ci sono porte e i malati ricoverati lì sono particolari, si alzano a ogni ora della notte, urlano, cantano, papà non riesce neppure a dormire”, riferisce la ragazza. Ayshe lavorava e viveva a Kiev, ma è tornata appositamente in Crimea per tenere alta l’attenzione sul caso del padre. Sui social ha lanciato una campagna di sostegno con l’hashtag #StopKillingIlmiUmerov e diverse organizzazioni per i diritti umani hanno chiesto il rilascio dell’attivista, denunciando la violazione della libertà di espressione e associazione in Crimea. Durante questi due anni e mezzo dal referendum, le autorità russe hanno vietato l’ingresso nella penisola a due esponenti di spicco di questa minoranza etnica di fede musulmana, hanno chiuso per diversi motivi i loro media e vietato raduni pubblici.
Un caso politico
Ayshe è convita che il caso del padre sia di stampo politico: “Lo scopo degli inquirenti è isolare uno dei leader dei tatari, costringerlo a tacere e spaventare i suoi sostenitori. Come ai tempi dei dissidenti sovietici, in Crimea viene ora usata la medicina repressiva”. Dello stesso parere Human Rights Watch, che ha parlato di “persecuzione di coloro che criticano le azioni della Russia in Crimea”. A favore di Umerov si è schierato anche l'arcivescovo Kliment di Simferopoli e Crimea della Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Kiev, Kliment. Il caso si basa sulla presunta violazione dell’art.280.1 del codice penale, che prevede proprio “inviti pubblici ad azioni volte a violare l’integrità territoriale della Russia con l’uso di mezzi di comunicazione”. Secondo le Ong per i diritti umani, l’articolo è stato introdotto nel marzo 2015, appositamente per perseguire coloro che si esprimono contro il fatto che la Crimea è territorio russo.
Campagna di pressione
“La Russia aveva promesso il rispetto dei nostri diritti, ma in due anni e mezzo ci siamo scontrati con fenomeni del tutto nuovi: problemi con l’insegnamento in lingua tatara, uccisioni, sequestri, processi politici, perquisizioni di massa”, spiega ad AsiaNews Nariman Dzhelalov, vice presidente del Mejlis dei tatari di Crimea, che ha partecipato alla preghiera collettiva. “Diversi nostri attivisti sono scomparsi e nessuno di loro è stato trovato vivo finora”, aggiunge Dzhelalov, il quale chiede alla comunità internazionale di “non considerare la Crimea un caso chiuso”.
Il presidente Vladimir Putin ha sempre promesso il rispetto di questa minoranza - autoctona di queste terre, deportata in Asia Centrale da Stalin e tornata solo negli Anni ’80 - ma le autorità locali accusano i tatari di essere agenti di Kiev.
L’Fsb ha fatto sapere che Umerov verrà dimesso il 7 settembre, ma ma non ci sono rassicurazioni sugli altri detenuti da mesi, in attesa di giudizio. Come Akhtem Chiygoz, arrestato un anno e mezzo fa, con l’accusa di aver organizzato a Simferopoli una manifestazione contro l’annessione alla Russia, il 26 febbraio 2014, quando ancora la Crimea era ucraina. Zeitulla, il padre di Chiygoz, ha vissuto le deportazioni dell’era sovietica, ma a suo dire “neppure allora ho visto tanta ingiustizia”. Lui come gli altri tatari giurano di non arrendersi e di continuare pregare.
19/08/2016 08:47
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