Al Forum mondiale buddista della Cina non c’è il Dalai Lama
Pechino (AsiasNews/Agenzie) – Sta per concludersi il Secondo forum buddista mondiale, iniziato il 28 marzo a Wuxi (Jiangsu), con grande sfarzo nell’imponente nuovo “Buddha Palace”, tra scenografie ben curate e musiche d’orchestra. Sono intervenuti oltre 1.700 monaci ed esperti di 46 Paesi, ma non è stata nemmeno invitata una rappresentanza del Dalai Lama, leader del buddismo tibetano.
L’incontro, con il titolo “Un mondo armonioso, una sinergia di condizioni”, si conclude oggi. Domani i lavori riprenderanno per altri due giorni a Taipei. Esperti osservano che è chiaro il significato solo politico dell’iniziativa, organizzata dal governo cinese.
Jia Qinglin, presidente della Conferenza politico-consultiva del popolo cinese, il 27 marzo ha espresso a un gruppo di circa 100 delegati la speranza che i buddisti cinesi possano portare un sempre maggior contributo allo sviluppo economico della Cina, all’armonia sociale e allo sviluppo pacifico delle relazioni con Taiwan.
Lo stesso giorno Ming Sheng, portavoce dell’Associazione buddista di Cina, organo statale cinese, ha spiegato che il Dalai Lama, leader spirituale del buddismo tibetano, non è stato invitato perché ritenuto solo un leader politico.
E’ invece intervenuto Gyancain Norbu, Panchen Lama riconosciuto da Pechino ma non dai tibetani, che ha tenuto un discorso in un corretto inglese. Egli ha lodato il governo cinese che consente “armonia sociale, stabilità e libertà religiosa” nel Paese. I tibetani riconoscono come legittimo Panchen Lama, n. 2 della loro gerarchia buddista, Gedhun Choekyi Nyima, sparito nel 1995 all’età di 6 anni senza più dare notizie.
I commenti di delegati di altri Paesi ammirano solo la perfetta organizzazione, ma non riscontrano autentici contenuti religiosi nell’incontro.
Gene Reeves, consigliere del Rissho Kosei-kai a Tokyo, ha commentato al South China Morning Post che “è davvero uno spettacolo”, ma lamenta che è improbabile che si affrontino le questioni in profondità.
Il monaco vietnamita Thich Minh Nhan, docente all’Università Buddista del Vietnam, osserva che per la Cina “il significato politico” dell’incontro “è evidente… più che nel 1° Forum nel 2006”.
Da Dharamsala Urgen Tenzin, direttore del Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia, commenta ad AsiaNews che questo rientra “nella continua pressione del governo cinese sulla comunità internazionale di non avere rapporti con il Dalai Lama”. Osserva che Pechino vuole utilizzare per fini politici anche la religione buddista, indicando che con il Dalai Lama il Tibet era in un regime feudale, “mentre era un Paese indipendente”.
Intanto nel Tibet, sotto legge marziale di fatto e occupato dall’esercito cinese, è stata annunciata la riapertura delle frontiere ai turisti esteri dal prossimo 5 aprile.
Bachug, capo del turismo locale, ha detto che “ora il Tibet è armonioso e sicuro”. Le frontiere sono state chiuse a febbraio per l’arrivo delle ricorrenze il 10 marzo del 50° anniversario della rivolta contro la dominazione cinese e il 14 marzo delle proteste del 2008 stroncate nel sangue.
Altre fonti turistiche indicano però che i turisti potranno entrare solo dal 28 aprile, che occorre un permesso speciale e che non potranno mischiarsi con gruppi cinesi.
(Ha collaborato Nirmala Carvalho)
27/05/2020 11:23
29/04/2020 10:55