La Piana di Ninive, una trappola per i cristiani iracheni!
La piana di Niniveh contiene una serie di villaggi cristiani (circa una ventina), in cui per la maggior parte si parla il dialetto siriaco chiamato “sureth”. La zona è da sempre sotto la giurisdizione di Mosul – da cui dista circa 30-35 km – e che è il centro culturale, commerciale ed ecclesiastico. La Piana è circondata da villaggi arabi, shebac, yezidi e curdi. Vi abitano 120 mila cristiani.
Quello di avere una zona indipendente è un sorta di sogno nazionale per gli assiri che risale già al periodo della Prima Guerra mondiale; poi negli anni ‘70 anche alcuni politici cristiani e leader religiosi hanno chiesto una provincia autonoma, ma il sogno non si è mai realizzato!
Dopo l a caduta del regime di Saddam Hussein e soprattutto nel 2006, guardando all'esperienza del Kurdistan autonomo, tanti nazionalisti cristiani fuori e dentro l'Iraq vedono nella Piana di Ninive la possibilità di guadagnare una zona sicura (Safe Haven).
Perché Niniveh? Niniveh era storicamente la capitale dell'antica Assiria. Gli arabi, in particolare i sunniti, sono fortemente contrari a questa soluzione, come lo sono per il federalismo o ad una divisione del Paese su base etnica o confessionale. Diversi media cristiani stanno conducendo una massiccia propaganda per portare avanti l’idea che la Piana è l’unica speranza di salvezza. E così aumentano i problemi: minacce, rapimenti, attacchi e uccisioni…I curdi appoggiano questo progetto, forse anche gli Usa, data l'esperienza della Jugoslavia e il piano del nuovo Medio Oriente!
Ma i cristiani, la cui presenza è ormai dimezzata a causa dell’esodo forzato, devono abbandonare questo rischioso progetto di ghetto. Come cristiani dobbiamo essere presenti ovunque, per testimoniare la nostra identità in mezzo agli altri. La nostra Chiesa non è stata mai nazionalista o chiusa in senso etnico; ha invece sempre abbracciato popoli e nazioni, ha raggiunto l’apice in Mesopotamia, nei Paesi arabi del Golfo ed è arrivata perfino in Cina.
Per assicurare un migliore futuro in Iraq dobbiamo:
- lavorare tutti insieme, cristiani di tutti i riti e denominazioni, per unire la nostra posizione e rendere efficace il nostro discorso politico nel quotidiano. Ciò significa lavorare per la riconciliazione degli iracheni, collaborando con le autorità religiose e i partiti. Dialogo, riconciliazione e spinta verso la cultura della pace sono la nostra missione oggi;
- mostrare con fatti il nostro ruolo storico per la costruzione dell'Iraq, la nostra volontà di vivere e collaborare con tutti per l'unità del Paese rifiutando di essere identificati con l’“invasore”;
- lavorare insieme in un gruppo unito per operare emendamenti al testo della Costituzione irachena e curda.
Infine la diaspora cristiana e tutte le chiese sono invitate a lavorare senza troppa propaganda ed aiutare nei fatti i cristiani emigrati in Siria, Giordania, Libano, come pure a creare istituti e posti di lavoro nei nuovi villaggi del nord per dare speranza e strumenti di vita alle famiglie dei rifugiati.
* Arcivescovo di Kirkuk