Vescovi italiani: in nome della famiglia, no a leggi sulle convivenze
Roma (AsiaNews) – La Conferenza dei vescovi italiani ha diramato una Nota per chiedere alla società, e ai cattolici in particolare, di affermare sempre più la famiglia e rifiutare la legalizzazione delle unioni di fatto, anche quelle dello stesso sesso. I vescovi affermano che il tentativo di riconoscimento legale per le unioni civili è “inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale e educativo”. Richiamando l’insegnamento del papa e quello della Congregazione per la dottrina della fede, essi dicono che un politico cattolico sarebbe “incoerente” se sostiene “la legalizzazione delle unioni di fatto” e chiede a tutti i cristiani impegnati in politica di “votare contro il progetto di legge” che le avalla.
La società italiana, come tutte quelle europee, è scossa da sussulti di anticlericalismo, che condannano ogni intervento dei vescovi come “un’ingerenza” nella laicità dello stato. I vescovi rivendicano il diritto-dovere di “dare il [loro] contributo al bene comune”.
Nella Nota i vescovi affermano anzitutto il valore della famiglia per l’individuo e per la società: “Ogni persona, prima di altre esperienze, è figlio, e ogni figlio proviene da una coppia formata da un uomo e una donna. Poter avere la sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio, proprio per l’impegno che essa porta con sé: impegno di fedeltà stabile tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli”. Anche per la società l’esistenza della famiglia è una risorsa insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana (cfr artt. 29 e 31). Anzitutto per il bene della procreazione dei figli: solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni. È quindi interesse della società e dello Stato che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato possibile”.
La “legalizzazione delle unioni di fatto”, si dice ancora nel testo, “toglierebbe.. al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume”.
Secondo uno stile post-moderno, anche in Italia vi è un’enfasi crescente su nuovi “diritti”: diritti sessuali, aborto, eutanasia, manipolazione degli embrioni, matrimonio omosessuale.
Sulle coppie omosessuali, la Nota precisa che “un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile”.
I vescovi riaffermano “rispetto” e “sollecitudine pastorale” per ogni persona, anche omosessuale, ma ricordano che “il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza”. Per questo – essi dicono – “garanzie” e “tutele giuridiche” per persone che convivono si possono soddisfare “nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare”.
Da ultimo, i vescovi ricordano l’enciclica Sacramentum Caritatis (n.83), secondo cui è richiesto ai politici di “presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana", tra i quali rientra "la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna".