Al Qaeda contro Pechino e contro Kadeer. La Cina cerca simpatia fra i Paesi islamici
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La Cina cerca di raffreddare la simpatia del mondo islamico verso la causa uiguri, mentre prende provvedimenti contro le minacce di gruppi islamici verso cinesi all’estero. Rebiya Kadeer, la leader uiguri che Pechino accusa di essere in combutta con il terrorismo, prende anch’essa le distanze dalle minacce di Al Qaeda.
Ieri il gruppo algerino Al Qaeda nel Maghreb islamico, ha minacciato rappresaglie contro i cinesi che lavorano in Africa del nord per vendicare l’uccisione e l’oppressione degli uiguri nello Xinjiang.
Il portavoce del ministero cinese degli esteri, Qin Gang, ha dichiarato ieri stesso che “terremo sotto controllo gli sviluppi e faremo sforzi insieme alle nazioni più importanti per prendere tutte le necessarie misure per assicurare la sicurezza di istituzioni e persone cinesi all’estero”.
“Il governo cinese – ha continuato – si oppone al terrorismo in qualunque forma e vorremmo aumentare la nostra cooperazione con altri paesi per combattere il terrorismo, garantendo sicurezza”.
In un appello ai Paesi islamici, Pechino ha chiesto che essi comprendano la politica e le azioni della Cina verso lo Xinjiang.
Anche Rebiya Kadeer, la leader uiguri in esilio negli Stati Uniti, rifiuta l’appello di Al Qaeda alla violenza. In una dichiarazione pubblicata sul sito del World Uyghur Congress, ella afferma di non credere che “la violenza sia la soluzione ad alcun problema”. E riguardo alle minacce del gruppo algerino, dice: “Il terrorismo globale non dovrebbe sfruttare le legittime aspirazioni del popolo uiguri e la presente tragedia nel Turkestan orientale per commettere atti di terrorismo che hanno come obbiettivo missioni diplomatiche o civili cinesi”.
Pechino continua ad accusare Rebiya Kadeer di essere la “mano nera” dietro tutte le rivolte della scorsa settimana, accusandola di essere in combutta con “il terrorismo, l’estremismo, il separatismo”.
In generale il mondo islamico – perlomeno i governi – sono rimasti in silenzio sulle stragi avvenute nello Xinjiang, preferendo buoni rapporti commerciali con la Cina ed evitando paragoni con il modo – spesso violento – con cui essi stessi schiacciano l’opposizione nei loro stessi Paesi.
L’unico ad alzare la voce è stato il premier turco Recep Tayyip Erdogan, che ha accusato Pechino di aver messo in atto “quasi un genocidio”. La popolazione turca ha legami linguistici, culturali e religiosi con quella uiguri.
Ieri la Cina ha domandato che Erdogan ritratti le sue affermazioni. In un editoriale pubblicato sul China Daily, si chiede al premier di ritirare le parole, che sono “irresponsabili e senza fondamento”, costituendo una “interferenza negli affari interni alla Cina”.