Alla Corte costituzionale si chiede di risolvere presto la questione AKP
di NAT da Polis
Anche i mercati finanziari hanno reagito negativamente in Turchia alla richiesta avanzata dal procuratore generale per lo scioglimento del partito di Erdogan. Preoccupa quello che è visto come l’ultimo atto della guerra strisciante tra lo “Stato profondo” e il partito musulmano moderato.
Ankara (AsiaNews) – L’importante è fare presto, visto che anche i mercati finanziari hanno reagito negativamente alla notizia che la Corte costituzionale turca è chiamata a decidere se accettare il ricorso del procuratore generale Abrurahamam Galcinkayan, che ha invocato la sospensione del partito AKP - che ha stravinto le elezione del luglio 2007 con il 47%, dei voti – del quale fanno parte il presidente della Repubblica Gul e il primo ministro Erdogan. Rei, secondo l’alto magistrato di minacciare la laicità del Paese.
La Corte Costituzionale è composta da 11 membri, otto dei quali nominati dal ex presidente kemalista Sezer. Per deliberare servono sette voti su 11.
Un fatto analogo era accaduto nel giugno del 1998, quando fu sciolto il partito islamico dell’allora primo ministro Erbakan, dopo un “avviso” delle forze armate. Dalle ceneri di quel partito è nato l’AKP, ora al governo. E’ invece la prima volta che viene chiesta la sospensione di un presidente della Repubblica, in quanto la sua figura è fermamente protetta dalla Costituzione.
Immediata la risposta di Erdogan, che ha esortato i suoi a non compiere atti affrettati, dicendo: “questo non è un atto contro il nostro partito, ma è contro la volontà del popolo”. Ed ha aggiunto, citando un bramo dal Corano, “hanno le orecchie e non sentono, hanno occhi ma non vedono, hanno la lingua, ma non dicono la verità”.
Bahceli il presidente del Partito nazionalista – che con i suoi voti ha contribuito alla elezione di Gul e alla riforma costituzionale per il velo islamico, in una dichiarazione scritta ha detto: “il ricorso per la chiusura dell’AKP, che governa il Paese da 65 mesi creerà dei problemi politici non indifferenti”. Il presidente Gul, da parte sua ha dichiarato: “Si dovrà pensare molto bene a che cosa si dovrà aggiungere o sottrarre alla Turchia con questa iniziativa”.
Con l’atto del procuratore continua la guerra strisciante tra AKP e le forze vetero-kemaliste, che trovano la loro espressione nell’ esercito (che in questo caso sembra di mantenersi distaccato) e nella pubblica amministrazione, della quale la magistratura costituisce l’ultima roccaforte. Una guerra iniziata prima con la contestazione dell’elezione di Gul alla massima carica dello Stato, portando così il Paese ad elezioni anticipate, sia con l’ostilità alla riforma sul velo. Uno Stato profondo, che in seguito anche all’inchiesta Ergenekon (la Gladio turca), si sente alle corde, perché pare che abbia molti scheletri nell’armadio e di cui teme anche le conseguenze. E non passa inosservato il fatto che, secondo il giornale Zaman, l’Unione Europea chiede con insistenza di fare luce sull’affare Egenekon.
E’ una crisi, dunque, che viene da lontano, come si commenta negli ambienti diplomatici. Una crisi che aveva portato lo stesso sistema kemalista al punto di contraddire anche il suo fondatore. Con i partiti politici che, come dice la sociologa Umit Cizre, nel corso degli ultimi anni, dopo il colpo di Stato del 1980, si erano trasformati in cartello e si assicuravano la sopravivenza solo grazie allo Stato, eliminando qualsiasi coinvolgimento politico della gente. Non è pertanto difficile capire il successo del partito di Erdogan, l’AKP, l’unico che si è presentato contro il sistema. Insomma stavolta si gioca la vera credibilità occidentale della Turchia, oppure il ritorno ad un regime di fondamentalismo laico, con conseguenze imprevedibili.
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