Contro la pena di morte, una vittoria “a metà”
Roma (AsiaNews) - A poche ore dall’approvazione della moratoria sulla pena di morte, avvenuta ieri all’Onu, Iran e Cina, fra i massimi sostenitori dell’esecuzione capitale, hanno mostrato il loro dispregio verso le conclusioni delle Nazioni Unite. Stamattina, nella prigione di Evin, 7 uomini e una donna sarebbero stati giustiziati. Lo riporta il blog della giornalista Asieh Amini, impegnata per i diritti delle donne e contro la pena di morte.
In Cina, nel Guizhou, 2 insegnanti sono stati oggi condannati a morte per aver spinto decine di loro allieve a diventare prostitute. Sempre oggi la Cina ha reso noto di aver eseguito ieri un’altra condanna a morte: quella di Li Bin, detto “il re di Shanghai”, colpevole di essere al centro di una banda di spacciatori di droga e di gioco illegale.
Queste notizie mostrano che la vittoria di ieri è solo una vittoria “a metà”. All’Assemblea dell’Onu si è votata una moratoria non vincolante, che invita i Paesi che hanno nei loro ordinamenti la pena capitale a sospendere le esecuzioni. Votata con 104 sì, 29 astenuti e 54 no, la risoluzione segna certo un passo positivo nel rispetto dei diritti umani perché sottintende che lo Stato non è proprietario della vita dell’uomo, nemmeno del peggior criminale.
Per vincere davvero questa battaglia per la dignità umana bisogna continuare a chiedere a tutti questi Paesi favorevoli alla pena capitale e a quelli astenuti di giungere alla piena abolizione di questa punizione tanto crudele, quanto inutile: che essa non sia nemmeno un deterrente al crimine è ormai evidente a tutti.
Ma c’è un altro aspetto che ci spinge a definire questa vittoria “a metà”: questa battaglia a favore della vita del condannato è vera e non ideologica se tutti i loro promotori combattono anche per ogni vita, anche per quella dei bambini non nati.
Molti Stati promotori della pena di morte sono anche violenti propugnatori di campagne di controllo delle nascite, di sterilizzazioni forzate e di aborti fino al nono mese. E anche Stati e organizzazioni “pacifisti” vivono troppo “in pace” questo Olocausto di milioni di bambini.
Una volta Madre Teresa ha detto: “Se una mamma uccide il frutto del suo grembo cosa può impedire agli uomini di uccidersi a vicenda?”.
Se si salva la vita di un criminale (come è giusto) e si condanna alla morte un feto o un embrione che non ha nemmeno la voce per gridare aiuto, pensiamo di aver raggiunto la civiltà?