Yangon: ong per i diritti umani accusa l'Asean di sostenere i crimini di guerra
Justice for Myanmar ha denunciato l'organizzazione di una conferenza tra i capi regionali dell'aeronautica a Naypyidaw tra il 12 e il 15 settembre, mentre in gran parte del Paese continuano i combattimenti tra l’esercito birmano e le forze della resistenza. Il numero delle vittime civili ha superato le 4mila unità. Nel frattempo, nonostante la necessità di assistenza umanitaria, continuano a essere bloccati gli aiuti dalle ong.
Yangon (AsiaNews/Agenzie) - L’organizzazione per i diritti umani Justice for Myanmar ha condannato l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean) per la decisione di tenere una conferenza tra i capi dell’aeronautica che sarà presieduta dal generale della giunta militare birmana Htun Aung, respossabile di centinaia di bombardamenti contro i civili. L’incontro si terrà nella capitale Naypyidaw tra il 12 e il 15 settembre, mentre in gran parte del Paese continuano i combattimenti tra l’esercito, che a febbraio 2021 ha condotto un colpo di Stato, e le forze della resistenza anti-golpe.
Gli sforzi diplomatici dell’Asean consistono nella proposta di un piano di pace in cinque punti che non è mai stato attuato. Le divisioni interne all’organizzazione regionale hanno finora impedito un reale intervento per ridurre la violenza in Myanmar. Al contrario, “non si può negare che l’Asean stia legittimando e incoraggiando i criminali di guerra attraverso la sua cooperazione in materia di difesa e sicurezza, mettendo in pericolo la vita della popolazione del Myanmar e peggiorando la crisi”, ha dichiarato il portavoce di Justice for Myanmar, Yadanar Maung.
Secondo i dati dell’Armed Conflict Location and Event Data Project (ACLED), tra gennaio dello scorso anno e luglio 2023 circa 1.000 persone sono state uccise in 930 attacchi aerei ordinati dal generale Htun Aung. L’Assistance Association for Political Prisoners (AAPP), invece, che tiene il bilancio delle vittime e degli arresti a partire dal colpo di Stato, ha dichiarato che il 24 agosto la cifra di civili uccisi dalle forze del regime ha superato le 4mila unità, una media di 130 non combattenti al mese.
Negli ultimi tempi la regione più colpita è quella del Sagaing, dove si concentrano le forze della resistenza: la giunta militare ha condotto raid, massacri, bombardamenti, attacchi aerei sia nelle aree rurali che urbane, dando fuoco a migliaia di abitazioni e uccidendo quasi 1.800 civili, il 45% del numero totale delle vittime.
Lo stesso regime nei giorni scorsi ha ammesso l’intensificarsi della crisi umanitaria: il capo dell’esercito Min Aung Hlaing ha dichiarato che un terzo della popolazione del Myanmar ha bisogno di assistenza umanitaria e ha chiesto ai propri ministri di meglio coordinare gli aiuti locali e stranieri. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), più di 1,9 milioni di persone risultano sfollate a causa dei combattimenti, soprattutto negli Stati Kachin e Chin, e nelle regioni di Mandalay e del Sagaing. Si tratta di un numero che è quintuplicato in meno di tre anni, hanno sottolineato i funzionari delle Nazioni unite. Il regime militare, tuttavia, ha più volte bloccato la fornitura di aiuti umanitari nel timore che le organizzazioni di beneficenza e le agenzie dell’Onu sostengano le forze della resistenza.
Nello Stato del Rakhine, colpito a maggio dal ciclone Mocha, circa 1 milione di sfollati non hanno ancora ricevuto un’adeguata assistenza. Al contrario, il regime ha bloccato gli aiuti e poco dopo formato un comitato di 19 membri per redigere una nuova legge sulle ong nazionali e straniere. La nuova legge avrà lo scopo di impedire al personale delle ong di interferire negli affari del Paese con assistenza finanziaria e di altro tipo da parte di nazioni straniere, ha spiegato il regime.
Già a ottobre dello scorso anno il generale Min Aung Hlaing aveva modificato la normativa, inasprendo le sanzioni per chi ha legami con gruppi “terroristici” (l’etichetta con cui l’esercito si riferisce alle milizie della resistenza e al precedente governo in esilio) e obbligando le organizzazioni umanitarie a riservare il 40% dei posti nei consigli di amministrazione a cittadini birmani.
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