Xinjiang: l’Organizzazione islamica esalta il progresso di Xi Jinping e tace persecuzioni
Il leader cinese ha visitato nel fine settimana l’area esaltando la “stabilità sociale” raggiunta “a fatica”. E invita a “promuovere con maggiore profondità la sinicizzazione dell’islam”. Intanto le autorità continuano ad arrestare uiguri che praticano la fede o leggono il Corano. Domani papa Francesco sorvolerà la regione nel viaggio in Mongolia.
Pechino (AsiaNews) - “Conservare la stabilità sociale, raggiunta con grande fatica”. Questo il monito lanciato nei giorni scorsi dal presidente cinese Xi Jinping in una rara visita a Urumqi, capitale dello Xinjiang, estrema periferia occidentale del gigante asiatico, facendo tappa nell’area di rientro dal vertice Brics in Sud Africa. Parole che non lasciano dubbi sulla stretta attuata dalle autorità sulla popolazione, in particolare sulla minoranza musulmana degli uiguri che vive nell’area ed è stata più volte oggetto di una durissima repressione. Un pugno di ferro che prosegue, come emerge dai casi di cronaca emersi in questi giorni di arresti e sparizioni misteriose (anche) per questioni legate alla fede.
La visita del presidente cinese risale al 26 agosto scorso ed è stata occasione per rilanciare la politica del pugno di ferro imposta da Pechino nella regione contro “terrorismo” ed “estremismo”, dietro il quale si cela la richiesta di libertà e diritti della minoranza etnica. Violenze e repressioni di Stato denunciate anche dalle Nazioni Unite che, in un rapporto diffuso nel settembre scorso, hanno equiparato le politiche delle autorità centrali a “crimini contro l’umanità”. L’Onu ha rinnovato l’appello al governo per il rilascio immediato “di tutte le persone private in modo arbitrario della loro libertà” e rendendo nota la loro condizione. Azioni contro un popolo che alcuni governi occidentali, soprattutto la Francia, equiparano a un “genocidio”.
Nel discorso Xi Jinping ha ribadito che è necessario attuare la strategia governativa nella regione in un quadro generale di sicurezza nazionale, partendo da due capisaldi: stabilità sociale e sviluppo. “Dobbiamo combinare - ha aggiunto il presidente - lo sviluppo della lotta contro il terrorismo e il separatismo, con la spinta alla normalizzazione della stabilità sociale e il mantenimento dello Stato di diritto”. Infine, il leader cinese ha puntualizzato uno dei paradigmi della politica governativa: “Promuovere con maggiore profondità la sinicizzazione dell’islam e controllare con maggiore efficacia le attività religiose illegali”.
Una linea che, all’atto pratico, ancora oggi si traduce in arresti e repressione: la Cina di recente ha annunciato una campagna di “lotta dura” lunga 100 giorni nello Xinjiang, che include raid della polizia contro famiglie uiguri, restrizioni severe alle pratiche islamiche e limiti alla cultura e alla lingua del gruppo etnico minoritario. Fra le persone arrestate un uomo di etnica kazaka, colpevole di aver eseguito inni e canti ispirati al Corano durante un matrimonio musulmano. Secondo quanto riferisce Radio Free Asia (Rfa) il 56enne Kusman Rehim è finito in cella a metà luglio e la ragione principale “era che la polizia ha trovato” il libro sacro dell’islam “nella sua casa”.
Le recite non autorizzate del Corano sono vietate dal 2017, quando la Cina ha iniziato l’incarcerazione di massa di uiguri e altri gruppi etnici nei campi di “rieducazione” in tutto lo Xinjiang. Un altro arresto riguarda un designer uiguro che ha lavorato per una azienda cinese di locomotive con base in Turchia per oltre un decennio. Qahar Eli, 39 anni, è stato arrestato a marzo [ma la notizia è emersa solo in questi giorni] di rientro nella provincia occidentale cinese per visitare i parenti. A distanza di pochi giorni dal suo arrivo la polizia lo ha prelevato e da allora non si hanno notizie precise sulla sua sorte. Infine, un anziano uiguri condannato a 14 anni in seguito ad un arresto avvenuto nel 2017 per aver studiato religione da bambino e per “reati” di natura religiosa è morto in cella a causa - almeno questa la versione ufficiale - per “ipertensione”. Abdurusul Memet, 71 anni, stava scontando una condanna a 13 anni e 11 mesi per aver studiato il Corano tra il novembre 1964 e il marzo 1965.
Alcuni esempi di una lunga scia di repressioni e abusi alla libertà religiosa e ai diritti umani in una delle aree più sensibili della Cina per questioni etniche e confessionali, insieme al Tibet. Una zona che domani verrà sorvolata da papa Francesco nel viaggio che, da Roma, lo condurrà in Mongolia per il 43mo viaggio apostolico del suo pontificato, in programma fino al 4 settembre. Come è prassi il pontefice invierà un telegramma a tutti i capi di Stato dei territori attraversati, in questo caso il leader cinese Xi Jinping.
Intanto a mantenere un basso profilo e ben si guarda dal denunciare abusi e violazioni è lo stesso mondo musulmano rappresentato da alcune, e autorevoli, istituzioni e organismi. In particolare l’Organizzazione della cooperazione islamica (Oic), il più importante gruppo del mondo musulmano, che sembra aver abbracciato la narrativa cinese di “un’isola felice”. Nei giorni scorsi una delegazione Oic (organismo che raggruppa 57 nazioni) ha compiuto una visita ufficiale nello Xinjiang facendo tappa a Urumqi, Kashgar, Changi e nella prefettura autonoma di Kizilsu Kyrgyz dove hanno assistito a una esibizione contro il terrorismo e la de-radicalizzazione, oltre a celebrare riti e preghiere con leader religiosi locali. Dya-Eddine Bamakhrama, capo delegazione e rappresentante permanente del Gibuti presso l’Oic, ha elogiato “la prosperità e lo sviluppo” dell’area sotto il governo di Pechino. Per Syed Mohammad Fawad Sher, delegato pakistano, la visita ne ha mostrato la “notevole trasformazione” in positivo.
Immediata e durissima la reazione di alcuni gruppi attivisti fra i quali il World Uyghur Congress e il Campaign for Uyghurs, che condannano la visita e invitano l’Oic a sostenere valori e principi morali, oltre a denunciare collettivamente la continua persecuzione degli uiguri. Mustafa Akyol, esperto del Centro per la libertà e la prosperità globale del Cato’s Institute, sottolinea con rammarico come “molti Paesi del mondo musulmano, in special modo nel Medio oriente, sono pronti a credere alle bugie della Cina sulla tragedia in atto, questa crisi dei diritti umani, perché vedono la Cina come una potenza anti-occidentale”.