West Papua: il “genocidio al rallentatore” delle minoranze etniche e dei cristiani
La Commissione di giustizia e pace di Brisbane denuncia intimidazioni, percosse, torture, rapimenti e assassini compiute dalle autorità indonesiane nella provincia. Un tempo West Papua era a maggioranza cristiana. Attivisti: “I musulmani vogliono prendere il posto dei cristiani e gli indigeni”.
Manokwari (AsiaNews) – Intimidazioni, percosse, torture, rapimenti e assassini condotti ai danni delle minoranze etniche, degli oppositori politici e dei cristiani. Sono alcuni dei crimini avvenuti nella provincia di West Papua e denunciati i un documento preparato dalla Commissione di giustizia e pace di Brisbane (Australia), i cui membri hanno fatto visita alla regione il mese scorso. Il rapporto non è ancora pubblico, ma il sito The Catholic Leader ne ha pubblicato ampi stralci. Esso elenca le illegalità compiute dai musulmani militanti e dall’esercito nella provincia, un tempo a maggioranza cristiana.
Lo studio definisce “un genocidio al rallentatore” quello che gli indonesiani stanno compiendo, “volendo rimpiazzare i cristiani con l’islam”. Inoltre, la Commissione denuncia i metodi con i quali il governo ha strappato ai papuani diversi ettari di terreno, poi venduti a 50 multinazionali.
L’autrice del rapporto è la suora giosefita Susan Connelly. Ella si è recata in West Papua con Peter Arndt, vice presidente della Commissione di giustizia e pace di Brisbane. I due hanno intervistato circa 250 capi comunità a Japapura, Merauke, Timika e Sorong. “La situazione – racconta suor Connelly – è simile a quella di Timor Est 20 anni fa: lo stesso sistema di sicurezza oppressivo, gli stessi sospetti, la stessa frustrazione della popolazione”.
“Le autorità – continua la religiosa – vogliono mettere a tacere ogni tentativo di promozione della discussione sull’autodeterminazione del popolo, e applicano una risposta militare per contrastare il desiderio di libertà di gran parte dei papuani”. Secondo Arndt coloro che violano i diritti della popolazione sono membri dell’esercito indonesiano, delle forze speciali Kopassus, dei reparti di polizia, del Detachment 88 (squadra anti-terrorismo) e dell’intelligence nazionale Bin: “Anche le manifestazioni per questioni sociali come l’accesso all’istruzione sono interrotte dalle autorità”.
La Papua è stata l’unica provincia a rimanere sotto il controllo dell’Olanda, dopo che l’Indonesia ottenne l’indipendenza nel 1945. Nel 1969, con un referendum, la popolazione ha optato per l’annessione all’Indonesia, ma molti rimangono convinti che sia stato tutto orchestrato da Jakarta. Esistono ancora movimenti separatisti che non riconoscono il risultato referendario e chiedono l’indipendenza.
Negli anni ’70, i papuani contavano il 96% della popolazione della provincia. Ora sono solo il 48%, perché il West Papua è stato oggetto di forte migrazione di indonesiani, provenienti da altre isole, incoraggiata per isolare ancor di più le frange separatiste papuane. Secondo il rapporto, si è creato un vero e proprio “movimento di musulmani indonesiani per rimpiazzare i papuani in ogni settore. Moschee sono state costruite ovunque. Hanno bruciato le case dei papuani. Lavorano come tagliatori di legna illegali e sono protetti dall’esercito, che ha compiuto numerosi omicidi”.
Nello specifico, la Commissione di giustizia e pace elenca una serie di delitti compiuti dalle autorità nel 2015. Si tratta di un giovane uomo d’affari, avvelenato perché finanziava un gruppo politico indipendente; un’attivista donna arrestata per aver condotto un servizio di preghiera ad una conferenza internazionale a Londra; un operaio agricolo torturato dall’esercito per essersi lamentato per la mancanza di salario; un ragazzo di 18 anni ucciso perché figlio di un leader religioso locale.
04/03/2021 13:30