16/05/2024, 09.58
GOLFO - VATICANO - INDIA
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Vicario d’Arabia: la giurisdizione dei siro-malabaresi e la ‘sfida’ alla bellezza dell’unità

di Dario Salvi

Mons. Aldo Berardi, guida del vicariato che comprende Bahrein, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita, commenta la decisione di papa Francesco di concedere alla Chiesa siro-malabarese la giurisdizione sui migranti indiani. "Un elemento non secondario, riguarda ambiti che vanno oltre i riti" e che andranno definiti. Il problema dei luoghi di culto, delle relazioni con lo Stato e l'interlocuzione col mondo musulmano. “Troppe voci” possono creare “confusione”.

Milano (AsiaNews) - L’unità resta sempre “la sfida” perché “è fonte di bellezza” anche se “costa fatica”, soprattutto di fronte “all’unicità di ciascun rito” collegato alle diverse comunità che formano la Chiesa locale. È quanto sottolinea ad AsiaNews il vicario apostolico dell’Arabia settentrionale mons. Aldo Berardi, sacerdote dell’Ordine della Santissima Trinità e degli Schiavi di cui è stato vicario generale, da oltre un anno alla guida di un territorio che comprende Bahrein, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita. Una realtà composta in larghissima maggioranza da migranti economici da diverse nazioni dell’Asia, in particolare l’India, e da riti diversi uno dei quali interessato dalla decisione - annunciata nei giorni scorsi da papa Francesco - di concedere ai siro-malabaresi la giurisdizione su quanti si trovano per lavoro in Medio Oriente (in larga maggioranza proprio nei vicariati del Nord e del Sud dell'Arabia). 

“Per anni l’unico vescovo locale, latino - spiega mons. Berardi - doveva promuovere tutti i riti e rispondere alle domande e alle esigenze” di ciascuna comunità. Il primo a definire la questione è stato Giovanni Paolo II che aveva affidato al vicariato apostolico “il compito di promuovere tutti i riti”, poi nel 2006 “Benedetto XVI ha cominciato a parlare di maggiore autonomia”. Nel 2020 una ulteriore modifica “per affidare la giurisdizione ai patriarchi orientali”. In questi anni abbiamo dato a sacerdoti la cura pastorale di riti diversi, per “rispondere alle domande e ai bisogni di ciascuna realtà”. Ciò significa, aggiunge il presule, che “per mantenere l’unità intorno al vescovo latino i sacerdoti di rito orientale dovevano adeguarsi” a livello di catechesi, di celebrazioni, di sacramenti. Questo vale anche per i siro-malabaresi che oggi hanno 16 sacerdoti [religiosi cappuccini] nel vicariato.

Il 13 maggio, ricevendo in udienza una delegazione guidata dal nuovo arcivescovo maggiore Raphael Thattil, il pontefice ha espresso pubblicamente il suo assenso a una richiesta avanzata da anni dalle Chiese d’Oriente, soprattutto per i propri fedeli del Golfo Persico. La Chiesa siro-malabarese avrà dunque giurisdizione sui migranti indiani appartenenti a questo rito che vivono nella regione, anche se la questione come ha sottolineato papa Bergoglio va definita in un secondo momento “anche tramite le carte, ma da oggi potete”. La richiesta della giurisdizione è un tema che da anni pongono le Chiese cattoliche orientali per le centinaia di migliaia di migranti, mosaico di lingue e riti finora guidata dai due vicariati apostolici dell’Arabia di rito latino. 

La questione non è saceondaria perché abbraccia ambiti che non riguardano solo l’elemento religioso, ma hanno anche una implicazione sociale, basti pensare alla celebrazione del matrimonio e al suo riconoscimento civile. Dai siro-malabaresi ai maroniti, dai copti-cattolici ai melkiti “ci troviamo per momenti di festa” sottolinea il vicario. “Da un lato vi è il rischio di essere troppo indipendenti - avverte - ma dall’altro abbiamo lavorato per mantenere l’unità, pur nel rispetto delle diverse realtà orientali”. “Utilizzano le nostre chiese [latine] per celebrare la messa perché non possono farlo al di fuori dei luoghi di culto ammessi e riconosciuti, come prevedono le leggi locali. In questa fase, per esempio, stiamo elaborando un accordo canonico coi maroniti sui matrimoni, che dovrebbe essere di esempio anche per gli altri riti” presenti nel vicariato. 

Mons. Berardi riconosce che al momento vi è una fase di “incertezza” che segue la decisione del papa e che, come lui stesso ha sottolineato, andrà definita “su carta”. “Dobbiamo aspettare indicazioni - prosegue il prelato - dal dicastero per le Chiese orientali, dalla Segreteria di Stato. Poi con l’arcivescovo maggiore faremo valutazioni su come integrare nuovi sacerdoti, perché sembra già che ne vogliano inviare di diocesani dall’India. Siamo in una fase di mezzo, andrà definita anche la questione della responsabilità di fronte alle autorità e ai vari Stati, perché nelle ultime indicazioni di papa Francesco era il vicariato apostolico a dover mantenere queste relazioni e nessun’altra Chiesa cattolica sui iuris ha personalità giuridica e dovrà dipendere ancora per qualche tempo dal vicariato per visti, luoghi di culto, etc”. “Per quanto riguarda i siro-malabaresi - sottolinea - il nostro interlocutore sarà l’arcivescovo maggiore, non possiamo discutere con le singole diocesi. Avevo già in programma un viaggio in India a luglio e ora sarà ancora più urgente, lo stesso farà Mar Raphael Thattil visitando il Golfo e conoscendo il servizio che offriamo ai fedeli del suo rito”.

Il vicariato apostolico dell’Arabia settentrionale estende la propria giurisdizione su quattro Stati della Penisola, con situazioni diverse a livello sociale, politico e di libertà religiosa: Bahrein, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita, nazione quest’ultima in cui non è ammesso altro culto ad eccezione dell’islam ma in cui vi è - sebbene non ufficialmente - una presenza cristiana. Nel 2020 alla morte dell’ultimo vicario mons. Camillo Ballin cui è succeduto come amministratore mons. Paul Hinder - già vicario dell’Arabia meridionale - si contavano quasi 2,8 milioni di battezzati su circa 43 milioni di abitanti. Il territorio è suddiviso in 11 parrocchie, la sede è in Bahrein, ad Awali, dove sorge la cattedrale di Nostra Signora d’Arabia.

La sfida resta sempre quella dell’unità, come Chiesa cattolica e di fronte agli Stati, ciascuno col suo stile. E per i diversi riti la definizione di una gerarchia e dei luoghi, degli spazi, perché sono limitati: dall’esarcato dei melkiti ai maroniti che progettavano la costruzione di una chiesa in Qatar quale futura casa del vicario patriarcale, idea al momento congelata. E ancora, la giurisdizione sui sacramenti: “Se una fedele caldea si sposa con un armeno - sottolinea mons. Berardi - va deciso chi celebra, quale rito, il nulla osta dei rispettivi patriarchi, l’accordo canonico per la validità dei sacramenti… elementi importanti da definire. Poi vi è anche il tema del riconoscimento civile” e “il rapporto con l’autorità musulmana, che nel relazionarsi ha bisogno di sapere chi è il riferimento”.

Troppe voci, e troppe teste, rischiano di creare confusione visto che finora il responsabile di fronte allo Stato era, ed è, il vescovo latino.

Da ultimo, il presule riflette sul primo anno trascorso alla guida del vicariato del Nord: “Sono arrivato in una situazione difficile con la morte del vescovo [Ballin], il Covid-19 che ha limitato di molto gli spostamento dell’amministratore [Hinder] e la cura pastorale delle parrocchie. Il primo lavoro è stato proprio quello di organizzare il vicariato a livello economico e amministrativo, sistemare i documenti, un passo importante e doveroso per essere chiari e trasparenti”. “Siamo in una fase di ristrutturazione - conclude - perché ogni Paese è diverso ma dobbiamo trovare una visione generale per tutti, cui segue un’applicazione concreta che è diversa, con limiti e conflitti interni. Quelle che ci preme è mantenere sempre l’unità”. 

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