Via dall'inferno libico: migranti egiziani raccontano odissea e torture dello Stato islamico
Il Cairo (AsiaNews) - Più di 10mila egiziani hanno attraversato la frontiera della Libia per ritornare in patria in Egitto dopo la decapitazione di 21 loro connazionali e l'indicazione diffusa dal ministero degli Esteri del Cairo. Si calcola che ogni giorno almeno tremila egiziani hanno attraversato il punto di Al-Salloum, sul confine ovest dell'Egitto.
Da Al Salloum sono passati anche i corpi di sei egiziani uccisi dalle autobombe a al Qubba, insieme ad altre 41 persone.
Ieri all'aeroporto internazionale della capitale sono giunti altri 200 egiziani tenuti in ostaggio per mesi dai gruppi di "Alba della Libia" e da "Alleati della Sharia"; altri sette pescatori - su 21 imprigionati in Libia - sono stati liberati e portati al Cairo per via aerea.
Fra tutti questi, vi è Adel sader, 20 anni, emaciato e smunto: è stato ostaggio per tre mesi, poi liberato con altri a loro volta ostaggi per un periodo da uno a tre mesi. Sono stati abbandonati a sette chilometri dal confine con la Tunisia e per tre giorni hanno camminato senza mangiare né bere. "Sono stati i tre mesi più orribili della mia vita", ha raccontato Adel. E ricorda di essere stato assalito nella sua casa a Sirte, dove i miliziani hanno rubato tutto. Poi Adel è stato messo in prigione, trasferito da un posto all'altro, insieme ad altri egiziani, subendo ogni sorta di tortura, forzati a denudarsi, picchiati, insultati e umiliati.
Le autorità tunisine si sono prese cura del gruppo e li hanno imbarcati su un volo egiziano verso il Cairo. Tutti loro erano senza passaporto, documento di identità, soldi, cellulare.
Durante i tre mesi di prigionia erano forzati a lavorare in imprese di pulizia e nelle costruzioni, spesso privati di cibo e di acqua.
Le formalità all'aeroporto del Cairo sono state molto lunghe per la registrazione dei loro nomi, non avendo essi alcun documento d'identità.
Mohammad 'Abdal-Sabour, 30 anni, ha impiegato due ore per tutte le formalità. Subito dopo, pieno di emozione, ha raccontato che era a Misurata, dove è stato arrestato per un mese e mezzo. Scoprendo il capo, mostra una lettera "S" incisa sul cuoio capelluto, vicino al collo, una tortura subita anche da altri egiziani. I miliziani di "Alba della Libia" gli hanno detto che questo era il modo per inviare i loro saluti al presidente egiziano Al-Sisi.
Mohammad 'Abdal-'Azîm spiega che dopo l'arresto, è stato costretto a lavorare in un enorme magazzino di armi e munizioni. "Mi hanno detto di dire a tutti in Egitto che essi hanno magazzini riforniti di armamenti e missili. Hanno anche cercato di costringerci a combattere con loro. Dopo i raid egiziani contro Daesh (lo Stato islamico) sono diventati ancora più feroci".
Prima di lasciare il Paese, i miliziani di "Alba della Libia" e "Alleati della Sharia" li hanno costretti a firmare un documento dove si dice che sono stati trattati bene.
Decine di altri egiziani all'aeroporto hanno raccontato che essi hanno deciso di fuggire dalla Libia dopo aver visto il video dei 21 egiziani martiri decapitati selvaggiamente da Daesh. Essi però sono stati fermati dalle milizie dello Stato islamico che prima di farli andare li ha derubati di ogni loro possesso: valigia, documenti, soldi, computer, cellulari...
Molti di loro hanno subito violenze e trappole da parti di diverse bande. Almeno 45 dei migranti egiziani ritornati in patria necessitano trattamenti medici e psicologici per gli shock subiti in prigionia.
Nel Paese si attendono nuovi arrivi, mentre cresce la preoccupazione per cosa può succedere agli egiziani rimasti in Libia.